Il fatto era, probabilmente, che già in quei tempi – erano i tempi di Cristo – c’erano delle persone bellissime grazie a un’app: sembravano, agli occhi di chi le guardava, delle vere e proprie opere d’arte. Per riconoscerle dal vivo, però, si mostrava necessaria la spiegazione di un’audioguida: erano dei veri e propri falsi d’autore. Ai discepoli, invece, c’era una cosa così evidente da far impazzire le loro anime: che all’Amico, quando usciva come una talpa dai suoi momenti di adorazione, il volto gli cambiava completamente d’aspetto.
Una fisionomia che li costringeva ad andare al sodo della loro questione: “Dev’essere proprio vero – mi pare di sentirli parlottare sottovoce – che essere felici ha un notevole impatto sull’aspetto fisico. Non v’accorgete del sorriso che porta a spasso?”. In effetti le cose dovettero andar proprio così: che Cristoddìo, ogni qual volta lo beccavano dopo essersi ritirato a pregare, aveva un aspetto così luminoso da far ingelosire gli animi annebbiati degli amici. Era come se, incrociando la sua brillantezza, gli amici percepissero tutto il peso della loro tenebrosità. Il fatto, poi, d’essere da tutti considerato “il più bello tra i figli dell’uomo” (Sal 44,3), infuse in loro la certezza che quando uno prega e pensa in maniera intelligente, non soltanto il suo volto ma anche il suo corpo acquista un aspetto intelligente. Questo era per loro Cristo.
Tant’è che un giorno misero da parte il loro sorriso ebete e di circostanza e gliela snocciolarono sotto il naso la loro richiesta: “Signore, insegnaci a pregare come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”. Glielo chiesero loro, non glielo insegnò Lui a pregare come facciamo noi coi bambini: noi li obblighiamo ad imparare il Pater, l’Ave e il Gloria magari controvoglia; loro, invece, vedendo l’Amico ridotto così (bello), glielo chiesero loro. La qual cosa è differente: avere fame è chiedere il cibo, esser costretti a mangiare è calcolare poi d’andare nella stanza appresso a vomitare.
Alla sola richiesta degli amici, Cristoddìo avrà fatto i salti di gioia: “L’aspetto d’un pezzo di pane dipende dal fatto che tu abbia fame oppure no” si sarà ripetuto tra sé, ricordando un proverbio arabo che i clienti di papà ripetevano come una litania nella bottega di Nazareth. Loro gli dissero che volevano imparare a pregare, ma Lui capì che loro volevano imparare a parlare: per questo insegnò loro l’abc della sua lingua, i fondamentali della grammatica, soltanto le cose essenziali: “Quando pregate, dite: Padre nostro”. Praticamente insegnò loro come si faccia a parlare direttamente con Dio, ovverosia pregando: “Chiedete l’essenziale – “Il nome, il regno, la volontà” – e tutto il resto sarà dato in eredità”.
Provarono una volta, provarono due volte, provarono tre volte: dopo tante volte, s’accorsero da loro stessi che l’aspetto cambiava. S’accorgevano di quanto brutti erano, al confronto, quando non pregavano: si vantavano, forse, di essere belli fisicamente ma poi, con l’orecchio al cuore, sentivano rimbombare il vuoto dentro. E iniziavano a sospettare – ma non lo dissero a nessuno per non fare brutta figura – che l’aspetto fisico fosse solo un premio di consolazione.
Comunque sia andata, l’Amico non vide l’ora di condividere con loro il suo segreto per essere belli come Lui: pregare. Ovverosia entrar a colloquio con Dio tenendo in mano il nostro progetto di vita (certosino, tridimensionale, approvato) e uscire da quel colloquio con tutto un altro progetto ma così doppiamente bello da non dolersi più del nostro vecchio, quello bocciato per fantasia insufficiente. Magari non sarà al primo colpo, toccherà bussare due-tre-quattro volte prima di sentire l’eco di una risposta. Ma arriverà “perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto”.
D’altronde, aggiunge Cristo per mettere a tacere gli increduli, “se voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli” (cfr Lc 11,1-13), figurarsi se Dio si tirerà indietro quando Gli verrà chiesto, anche nel pieno della notte, d’alzarsi per andare a recuperare qualcuno finito giù nella scarpata.
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