Papa Francesco atterra in Canada. È uno dei viaggi più attesi di tutto il pontificato. Il vescovo di Roma, infatti, non va semplicemente a far visita a uno dei domini più estesi della regina Elisabetta, ma si recherà a trecento chilometri dal Circolo polare artico con la ferma intenzione di essere un pellegrino nel dolore delle popolazioni native del Nord America con cui la Chiesa ha un conto in sospeso.



Per comprendere meglio la vicenda occorre tornare al 1831, in piena colonizzazione europea del territorio posto alle estremità nordoccidentali del continente scoperto da Colombo: colonizzare, in quel dato contesto storico, significava eliminare le culture native e tale eliminazione non poteva che avvenire attraverso la sottrazione dei minori alle loro famiglie. Vengono costituite le scuole residenziali in cui i figli dei nativi sono obbligati ad abbandonare i loro costumi e ad abbracciare l’intera sovrastruttura di pensiero e di organizzazione dei rapporti sociali dell’Occidente. Le scuole sono organizzate dal governo centrale, ma la gestione è data ad enti cristiani, cattolici, anglicani e metodisti. 150mila bambini sono così allontanati dalle loro case, costretti con le botte ad imparare l’inglese, malnutriti e – più di tremila di loro – abusati fino alla morte, seppelliti in fosse comuni poi nascoste per decenni e riemerse nel 2021 come un’onta di cui il papa parlò già esplicitamente all’Angelus un anno fa. E nessuno pensi che sia “roba vecchia”, perché l’ultima scuola residenziale fu chiusa nel 1996.



Il quadro, insomma, si presta a tutto fuorché a retoriche giustificazioni o a sibilline domande su come la cosa sia stata gestita dalle altre confessioni cristiane: il crimine qui è di tutti, è l’ecumenismo dell’orrore. In questa vicenda si nasconde tutto il grumo di nodi che Roma si trova sul tavolo e che rappresenta oggi la vera contro-testimonianza della fede: gli abusi, il rapporto col potere, la questione sessuale, la fine della cristianità tridentina.

È impressionante come il Papa non si muova di un millimetro da questa linea. La sua non è un’agenda confusa e affollata dalle spinte della moda, ma una costante risposta alla domanda che Dio pone ai credenti in questo ventunesimo secolo, la stessa che fu rivolta a Caino: “Dov’è tuo fratello?”. È l’essere stati mancanti nella cura del fratello, cura delle sue ferite, dei suoi bisogni, della sua crescita, che ha reso la cattolicità così debole nel contesto contemporaneo.



Non è un fenomeno esterno, la secolarizzazione, ad aver fiaccato la presenza cattolica nel mondo, bensì il venir meno della Chiesa alla sua missione evangelizzatrice. Nel momento in cui la fede si è messa a servizio di una civiltà, e con quella civiltà si è identificata, non ha trovato le parole giuste per incontrare altre civiltà, se non quelle della conversione culturale, e non ha saputo reggere il colpo quando la civiltà con cui si era politicamente associata si è dissolta e le ha voltato le spalle. Non è un caso che per tutto l’Ottocento il cattolicesimo abbia provato in tutti i modi prima a conservare l’antico regime, poi a conservare la cultura di quel regime, fino a firmare delle vere e proprie rese con gli Stati moderni nel tentativo di trattenere almeno qualche privilegio.

Solo adesso comprendiamo la forza del gesto profetico fatto contro tutto e tutti da Giovanni Paolo II nel Giubileo del 2000: la grande richiesta di perdono che il papa polacco portò al crocifisso in San Pietro come segno di un nuovo inizio. Quella richiesta che Benedetto ha tradotto in pensiero e provvedimenti legislativi, disegnando il perimetro della fede scevra dal potere nelle tre grandi encicliche dedicate alle virtù teologali. Impegno alla riforma che con Francesco è diventato impegno alla spoliazione di tutto quanto è retaggio di un potere che limita l’agire della Chiesa nella storia.

Per questo Bergoglio tuona contro le colonizzazioni ideologiche, perché conosce bene quale danno portano all’umanità: per questo affronta con piglio baldanzoso la riforma di tante realtà della Chiesa, affinché diventino sempre più strumenti a servizio dell’umano e non propaggini di un mondo ormai giunto al capolinea.

Negli anni dieci di questo secolo la Commissione per la verità e la riconciliazione, istituita dalla conferenza episcopale canadese, ha ribadito che quello avvenuto in Canada fu un vero e proprio genocidio culturale perpetrato con la complicità della Chiesa. Il Papa va in quelle terre non soltanto per chiedere scusa, ma per rendere evidente a tutti i cristiani che il cristianesimo oggi non si gioca tra la conservazione statunitense e gli avventurismi dottrinali tedeschi, ma che la partita è tutta di fronte al cuore dell’uomo. Nella nostra capacità di ascoltarlo e di tornare a curarlo senza pretese, ma con la certezza che nasce dalla gratuità. Quella certezza che mosse il Samaritano. Quella certezza che è segno di una fede che ha come unico tesoro la sequela di Gesù.

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