Sulle rive del Lago Sant’Anna, nella provincia canadese di Alberta, è accaduto, il terzo grande abbraccio di papa Francesco alle popolazioni native che sono state, fino alle soglie di questo terzo millennio, seviziate da un programma di integrazione culturalmente e fisicamente violento cogestito dal potere politico e dal potere clericale, attraverso quei campi di (ri)educazione pseudo-civica e pseudo-religiosa che erano le cosiddette scuole residenziali cosiddette, collegi fuori sede, dove i ragazzi indigenti venivano sequestrati, dove la coazione era la norma conclamata e gli abusi, anche sessuali, la consuetudine sottaciuta.
Chiaro il messaggio che ci giunge dal sito scelto. Il Lago Sant’Anna, meta storica di pellegrinaggi, è luogo simbolo dell’incontro tra cristianesimo europeo e senso religioso delle popolazioni native canadesi. Esse da gran tempo avevano chiamato quello specchio d’acqua Wakamme, lago di Dio, o Manito Sahgahican, lago dello Spirito, riconoscendolo come luogo sacro di “guarigione”. Fu un Métis del posto, di nome Piché, che nel 1841 chiese al vescovo di mandare un prete a stabilirsi lì. Giunse padre Thibaud, dopo un odissea di 1400 chilometri e nacque in una baracchetta la prima missione cattolica a ovest di Winnipeg, con un gruppo di Oblati che si dedicarono alla cura dei malati e dei moribondi, alla pacificazione delle tribù in guerra e alla predicazione del Vangelo. Il fatto di Cristo penetrò nella consapevolezza delle popolazioni locali attraverso la loro religiosa devozione per gli anziani, che fece loro amare la figura di Sant’Anna, anziana nonna di Gesù Cristo. Ed ecco il Lago dello Spirito essere anche il Lago di Sant’Anna. Ciò era buono. Altro – le scuole residenziali – erano nefandezze per cui il Papa compie questo pellegrinaggio penitenziale per implorare perdono e offrire riconciliazione. Perdono è la parola chiave del primo abbraccio di Francesco ai nativi, avvenuto a Maskwacis, piccolo centro sede di famigerate “scuole residenziali” dell’orrore; riconciliazione la parola chiave del secondo abbraccio, nella parrocchia del Sacro Cuore a Edmonton.
Perdono – Perdonare è umanamente pressoché impossibile, mentre non è impossibile simulare, o fare mostra di passarci sopra. Chiedere perdono, mettersi in ginocchio, è cristiano. Chiedere perdono, infatti, non ha nulla a che fare con l’autocritica del vecchio marxismo e con la cancel culture dell’avanzato nichilismo, che sono mosse politiche di riallineamento e sudditanza al potere vincente: si punta a salvarsi la ghirba o a rifarsi una verginità traslocando armi e bagagli dalla parte inattaccabile del Fariseo. La mossa politica consiste nel prendere le distanze, la mossa del perdono nel prendere la croce. Riconoscersi peccatori è l’unico modo per non riprogrammare violenza in nome della mia idea (o ideologia, o ideologia cristiana, giusta), e per essere instancabilmente protesi a dare un contribuito positivo sempre riformabile.
Riconciliazione – Un passaggio chiave di Francesco: “Mi ferisce pensare che dei cattolici abbiano contribuito alle politiche di assimilazione e affrancamento che veicolavano un senso di inferiorità, derubando comunità e persone delle loro identità culturali e spirituali, recidendo le loro radici e alimentando atteggiamenti pregiudizievoli e discriminatori, e che ciò sia stato fatto anche in nome di un’educazione che si supponeva cristiana. L’educazione deve partire sempre dal rispetto e dalla promozione dei talenti che già ci sono nelle persone. Non è e non può mai essere qualcosa di preconfezionato da imporre, perché educare è l’avventura di esplorare e scoprire insieme il mistero della vita. Grazie a Dio, in parrocchie come questa, attraverso l’incontro, si costruiscono giorno dopo giorno le basi per la guarigione e la riconciliazione”.
Ecco la parola che, per Francesco, indica la traiettoria di impegno personale e storico che non si identifica con un programma o una strategia, quanto con la Chiesa stessa come vita generata dal fatto di Cristo, amante della persona e della libertà: “La riconciliazione operata da Cristo non è stata un accordo di pace esterno, una sorta di compromesso per accontentare le parti. Nemmeno è stata una pace arrivata per imposizione arrivata dall’alto o per assorbimento dell’altro… È Gesù che ci riconcilia tra di noi sulla croce. La riconciliazione è una grazia che va chiesta. La Chiesa è la casa dove riconciliarsi nuovamente, non un insieme di idee e precetti da inculcare alla gente”.
Scherzi della memoria: da giovani universitari della nascente CL, proclamavamo urbi et orbi (anche a rischio di prendere botte da orbi) questa stessa idea con lo slogan “Costruire la Chiesa è liberare l’uomo”.
Un errore da evitare – È quello di immaginare che la richiesta di perdono di Francesco sia un uovo fuori dalla cavagna, uno scatto del temperamento di un Pontefice fuori dagli schemi. Non è così. La Chiesa ha iniziato a chiedere esplicitamente perdono laddove non ha più avuto paura del mondo, quando cioè con il Concilio ha riposizionato l’investimento della propria fiducia scommettendo sulla centralità dell’avvenimento di Cristo presente e non rassicurandosi illusoriamente con le rendite di una (fu) società cristiana. Paolo VI chiese perdono alle Chiese orientali per le divisioni, e fu apripista. Giovanni Paolo II irruppe come un ciclone di coraggio e umiltà, chiedendo perdono di innumerevoli colpe storiche e presenti della Chiesa e dedicò al perdono il Giubileo mondiale del 2000, con la stretta collaborazione del card. Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, il quale da papa fece il passo coraggiosissimo di chiedere perdono per i preti pedofili e combatterne la piaga. Anche proprio nei confronti dei nativi del Canada, fu Giovanni Paolo II il primo a riconoscere i peccati della Chiesa e a chiedere perdono: nel viaggio del settembre 1984 (e in due altri successivi). Fu allora che pronunciò il giudizio culturalmente strepitoso, che non a caso Francesco ha testualmente citato durante il viaggio attuale: “Cristo anima il centro stesso di ogni cultura, per cui non solo il cristianesimo interessa tutte le popolazioni indiane, ma Cristo, nei membri del suo corpo, è egli stesso indiano”.
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