Tra le tante storie drammatiche che riempiono i canali di informazione si trovano vicende singolari, che aprono domande per niente scontate. È il caso della babysitter di Bologna che ha cercato di salvare la piccola che stava accudendo gettandosi in piscina, pur non sapendo nuotare. Ed è il caso del papà morto dallo sfinimento per portare a riva moglie e figli a Passoscuro, in una spiaggia vicino a Fiumicino. In entrambi i casi la questione è decisiva: perché prestare soccorso alla vita di un altro? Che cosa c’entra, in fondo, la sua vita con la mia?

Il mondo moderno ci ha insegnato che quel che conta è l’Io, che io devo essere felice, io devo realizzarmi, io devo cambiare lavoro, famiglia, corpo se quello che ho non mi va più bene. È la realtà che deve cambiare, non sono io che devo fare un cammino.

Tutto è così orientato non a far crescere la nostra consapevolezza, quanto a rimuovere la fatica nel rapporto con le cose. Il punto è che io non abbia problemi, che sia lasciato in pace, che tutto avvenga nella giustizia e nel quieto vivere.

In quest’ottica quando l’altro è un problema o ha un qualche problema, a lui deve pensare lo Stato, la comunità. Non sia mai che io debba mettere qualcosa di mio per te, non sia mai che mi esponga a rinunciare ad un mio bene per un tuo bene: perché devo morire per te quando il mio scopo è vivere e vivere senza problemi?

La babysitter di Bologna e il papà di Passoscuro hanno fatto ben altro ragionamento, forse non hanno neppure ragionato tanto avevano evidente il fatto che la mia vita, senza la tua, non va da nessuna parte. Tu sei il mio cammino, tu sei la mia strada: il compimento della vita è dare se stessi per un altro, per chi vive accanto a me e che mi permette di essere davvero felice.

Il nostro tempo, perso in un estenuante nominalismo che presume di ridisegnare il senso e il significato delle parole, non si rende conto che sta coltivando un’esistenza ricca di diritti ma povera di esperienza. Gli uomini fanno tutto ma non giudicano più quello che fanno, non lo paragonano col desiderio profondo del loro cuore e quindi non imparano, non capiscono, non fanno esperienza e ripartono continuamente da zero, senza scoprire quelle grandi verità dell’esistenza che sono guida alla ragione e alla coscienza.

Se non vivi davvero non puoi morire per nessuno. Il fatto che ci sia ancora qualcuno che si spenda e si sacrifichi ridesta in tanti la domanda più vera, forse quella più decisiva: “Ma in fondo perché, per che cosa, a me interessa davvero vivere?”.

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