Turismo al Sud, ripartire dalle cose semplici

Al Sud c'è un turismo che funziona, ma è minoritario. Ce n'è un altro che vive di "nero", di evasione fiscale e di furbizia. Va contrastato con regole efficaci

La voglia di normalità è una sensazione strana. Incide più di quanto si pensi sugli equilibri delle persone e della società in generale. Abitudini, luoghi noti, odori e sapori appartengono alla parte più profonda di noi. Perciò questa stagione estiva, che si avviva per la prima volta ad essere infarcita della battaglia elettorale rischia di avere un effetto destabilizzante e di porre un elemento del tutto estraneo nel rito sacro delle vacanze. Nonostante ciò, però, gli italiani stanno in massa per disconnettersi per qualche settimana e per spendere qualche risparmio in giro per il Paese facendo girare la macchina del turismo. Sperando di trovare luoghi accoglienti e ben gestiti in cui trovare ristoro.

Virus, guerra ed elezioni non hanno tolto la voglia di sdraio e sentieri ed i dati dicono che la stagione sarà ancora sotto i livelli del 2019 (circa il 30% in meno) seppur in netta ripresa. Dopo il crollo del 2020 e del 2021, nel 2022 le presenze aumenteranno del 35% sull’anno precedente e 9 italiani su 10 resteranno in Italia. Il comparto genera circa il 5% del Pil ed il 6% degli occupati ma è soprattuto un settore che sviluppa e fa da volano per i territori che si trasformano da luoghi per residenti a destinazioni per turisti.

Gli italiani stanno invadendo soprattuto il Mezzogiorno per le ferie, con zone che dichiarano il tutto esaurito per alcune settimane, nonostante i prezzi siano aumentati di parecchio e la qualità dei servizi, per quanto migliorata, sia in molte zone del Mezzogiorno lontana dalla sufficienza. Su queste presenze ha inciso la difficoltà di volare low cost ed il residuo di pandemia, ma è anche e soprattutto un problema di programmazione e strategia.

Il Pnrr ha destinato solo 2,4 miliardi al turismo, di questi (applicando la famigerata regola del 40%) circa 900 milioni per il Mezzogiorno. Una goccia nel mare. Incide il fatto che la competenza sia condivisa con le Regioni e che molte Regioni del Mezzogiorno sul turismo hanno iniziato da poco a credere come reale elemento di crescita. Ma è innegabile che il comparto sia potenzialmente esplosivo in termini di crescita, se ben gestito.

Cosa fare allora? Molta parte del turismo è fruizione di servizi connessi al territorio. Maggiore è la qualità del servizio reso, maggiore è il valore aggiunto che si genera. Il Mezzogiorno su questo ha delle eccellenze. Capri, la costiera di Amalfi e Sorrento, le isole siciliane, alcune zone della Puglia hanno una vocazione ed una capacità di attrarre turismo di alta qualità ad alta spesa. Servizi avanzati gestiti da personale qualificato ad alto reddito rendono possibile creare una filiera moderna e produttiva al servizio dei territori.

Ma nel resto dei Mezzogiorno si privilegia ancora una fruizione estemporanea, spesso predatoria, dei luoghi. Lavoro nero molto diffuso, locazioni non dichiarate, carenza di rispetto per le regole, rendono il turismo una manna per l’economia grigia producendo in realtà un impoverimento del sistema economico. L’evasione fiscale si unisce al carico di lavoro per i servizi locali che non possono essere ripagati dalle imposte evase. Generando un circolo vizioso che si deve spezzare.

Un aiuto può darlo la recente creazione di sistema incrociato di verifica a disposizione dell’Agenzia delle Entrate che potrà verificare se un percettore del Reddito di cittadinanza fruisca di servizi incongrui o se una impresa abbia un imponibile non coerente. Serve infatti ripristinare una barriera all’illegalità in questo settore per renderlo sempre più capace di generare ricchezza. Se infatti si contasse il “nero” nell’incidenza del turismo sul Pil, l’incidenza raddoppierebbe, passando dal 6 al 12% circa.

Il Mezzogiorno è però refrattario nelle sue istruzioni ad avviare questo percorso. La base elettorale mal digerisce la formula del rigore sui conti e predilige uno sviluppo sotterraneo, furbesco e accondiscendente con chi “si arrangia”. Un limite culturale grave giustificato a sua volta nella sfiducia verso la classe politica locale e nazionale. Se il governo Draghi ha invertito la rotta su molti aspetti, su quello della legalità e del rispetto delle regole ha subito attacchi violenti. Tassisti e balneari, non a caso esponenti dei servizi proprio nel turismo, hanno avuto molti attestati di solidarietà dai politici e poche regole chiare da rispettare per modernizzarsi. Sul tema delle regole, in generale il Mezzogiorno pare non  aver avuto la spinta dal Governo che ci attendeva.

Sembra tramontata la stagione dei movimenti civici, della lotta civile contro gli abusi, sostituita da una generale chiusura di ciascuno nella propria bolla di presunto interesse. Un lockdown sociale, che ancora dura, e che vede nell’edonismo egotico di ciascuno l’unica ragione dei propri interessi reali. Aver perso di vista la natura comune del destino del Paese è forse il male peggiore di questi anni con cui battersi e ripristinare una visione comunitaria, che salvi lo Stato dai suoi cittadini che agiscono fuori dalle regole, un obbligo non più rinviabile.

Si può partire dalle cose semplici, come accennato, evitando di dare sussidi a chi spende e spande senza avere alcun reddito dichiarato. Imponendo alle imprese di regolarizzare e pagare degnamente chi lavora nel turismo. Le regole servono per tenere i luoghi puliti, per offrire servizi avanzati, per preservare con gli investimenti il nostro patrimonio naturale ed artistico. Un Mezzogiorno migliore è soprattutto questo.

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