Lo insegnano le brave maestre, ancora alle elementari: “La risposta che tu ricevi dipende dalla domanda che tu fai. Da come tu poni la domanda”. Perché, ad esser franchi, non sempre si chiede per conoscere: c’è anche chi chiede per mostrare quante cose sa, c’è chi chiede perché si diverte a chiedere, c’è anche chi chiede per cercar di tendere un tranello a qualcuno: “Un dottore della legge si alzò per mettere alla prova Gesù”.
L’evangelista dal fiuto allenato smaschera subito l’intento del saputello di turno: non domanda per conoscere ma domanda per cercare di fare uno sgambetto a Gesù. Per lui, e quelli della sua razza, stare a discutere di comandamenti e di gerarchie pare essere molto più importante di fare la volontà di Nostro signore.
Lui, il dottore puro, è uno che ha studiato, non come Cristo che fino all’altro giorno ha fatto il falegname e poi si è improvvisato profeta: senza nessun master, senza autorizzazioni ufficiali, senza pubblicazioni all’attivo. Siccome ha studiato, gli oltre seicento precetti li conosce così bene da potersi permettere di fare da esaminatore a Cristoddìo in persona: “Maestro, cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”.
È birichino questo dottore: basta disobbedire a uno soltanto per essere dannato. E loro passavano tutta la vita a fare l’adorazione perpetua delle regole e dei precetti: “Non tatuarti la pelle, tieni i filatteri sulle braccia, esamina i semi degli insetti, il tribunale non lasci in vita lo stregone”. E via dicendo. Rispondi, Cristoddìo: qual è il più importante?
Non cade nel tranello Gesù, non sta nemmeno al gioco. Mette in campo la diplomazia del suo narrare, costringendo il dottore a darsi da sé la risposta alla sua domanda. Pur presuntuoso e leggermente cafoncello (come il sottoscritto), dal Maestro si sente narrare una storia: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti”. Calci, pugni e botte da orbi: derubato di tutto. Passa un sacerdote: “Scusami: c’è il consiglio pastorale in parrocchia!”. Passa un levita: “Perdona, ma son di fretta: devo sistemarmi i filatteri in testa”. Passa un samaritano abietto: “Gli si fece vicino, gli fasciò, lo caricò sulla cavalcatura, lo portò in albergo, si prese cura di lui”.
Al dottore della legge la risposta alla sua stessa domanda: “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?”. Non è ignorante il dottore, capisce tra le righe che il boomerang gli è rivolto contro, ma oramai l’eco della domanda di Cristo gli si è incollata addosso: “Smettila di difendere un dio di carta e di precetti: vallo a raggiungere nella carne delle creature”. Cercare Dio, dottore, è molto più che pretendere di averlo già trovato. Eccola la risposta, evidente da esser costretto a darsela da sé “Chi ha avuto compassione di lui”. Dieci e lode: “Va’ e anche tu fa’ così” (cfr Lc 10,25-37). Come a ribadire: “Questo non è facoltativo: o fai questo o te ne vai!” Perché se le offri i tuoi successi, la grazia diventa ricompensa. Non è più lei.
Restar sotto le intemperie della storia: questo è il nuovo precetto di Cristo. Perché abbiamo tutti bisogno delle braccia di qualcun altro per stare in vita: pure Lui, l’Onnipotente, ha avuto bisogno delle braccia di Simone di Cirene lungo la salita del Calvario, di quelle di Giuseppe d’Arimatea per essere calato giù dalla croce, di quelle di Nicodemo per vedersi raccolto come il più fragile dei tessuti. Lì dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva, e l’impossibile degli uomini è il possibile di Dio. Non si tratta di cambiare il senso delle cose, di disprezzare le regole e la dottrina, ma di affidare loro un senso a partire da quel Dio che si fa possibile in noi.
“Fa’ questo, dottore, e sarai felice!”. Tutti d’accordo sulla felicità; resta il fatto che i modi che Lui indicò sono diametralmente opposti a quelli che il mondo è disposto ad accettare: l’adorazione perpetua del Santissimo al posto dell’adorazione perpetua delle regole. Ma ogni “samaritano” che, nel tempo, proverà a fermarsi lungo la strada, sentirà clacson e insulti risuonargli da dietro.