L’11 agosto il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato di aver discusso con i capi di Stato e di governo di Francia, Portogallo e Spagna e con il vertice della Commissione Ue del progetto di un nuovo gasdotto transeuropeo, dalle coste atlantiche al cuore del continente. I Governi di Lisbona e Madrid hanno dato il loro appoggio immediato a un’ipotesi che potrebbe essere concretizzata in meno di un anno. La nuova “pipeline” distribuirebbe gas naturale (domani idrogeno verde) trasportato via mare verso i nuovi rigassificatori portoghesi anzitutto dagli Usa o dalla Norvegia. Berlino (dove il vicecancelliere Robert Habeck è leader dei Verdi) guarda fin d’ora a collegamenti con la rete mediterranea già esistente dal Nord Africa verso la Spagna e l’Italia.
Mentre è quasi scontato l’impegno finanziario diretto dell’Ue (con una prevedibile estensione del Recovery Fund), tace ancora Parigi: sebbene resistenze effettive appaiano altamente improbabili. In Francia l’emergenza energetica/inflazionistica da crisi geopolitica è grave come in tutta l’Ue. Il Presidente Emmanuel Macron è stato rieletto a fatica – perdendo poi la maggioranza all’Assemblea nazionale – per aver insistito troppo nel primo mandato sulla transizione verde integrale, riempiendo così le piazze di “gilet gialli”. Non da ultimo: la Francia coglierà prevedibilmente occasione per rendere definitivo lo sdoganamento Ue del nucleare come fonte “pulita”.
Nelle stesse ore in cui questa svolta nella crisi energetica europea è maturata – senza apparenti coinvolgimenti del Governo italiano, dimissionario -, le forze politiche italiane hanno presentato i loro programmi in vista del voto del 25 settembre.
Nessuno presenta la questione energetica con alta priorità, così come ha fatto il Cancelliere tedesco nella sua conferenza stampa di mezza estate. Appaiono d’altronde diverse – anche in misura netta – le ricette proposte dai diversi “competitor” elettorali su quella che è senza dubbio la maggior preoccupazione corrente degli italiani chiamati alle urne: l’incertezza sugli approvvigionamenti per la stagione invernale in arrivo; e sulla durata e gravità del riflesso inflazionistico della nuova Guerra Fredda.
Il centrodestra si è detto apertamente favorevole alla “diversificazione degli approvvigionamenti energetici” e alla “realizzazione di un piano per l’autosufficienza energetica”. Questo con pari impegno rispetto sia alla “transizione energetica sostenibile attraverso l’aumento della produzione dell’energia rinnovabile”, sia riguardo “la creazione di impianti di ultima generazione, compreso il nucleare pulito e sicuro”. Esplicito – nell’orizzonte di FdI, Lega e FI – anche il riferimento alle politiche Ue, con la richiesta di price-cap per il gas finora non accolta da Bruxelles.
Nelle 42 pagine del programma Pd (cuore di una coalizione che va da +Europa e Sinistra Italiana e Verdi) manca ogni accenno al nucleare e si afferma invece: “Per il gas, che riveste un ruolo importante nella fase di transizione, sarà importante migliorare le infrastrutture di interconnessione accrescendo nel contempo la sicurezza degli approvvigionamenti”. Tuttavia i vertici “dem” hanno subito semi-chiuso sui rigassificatori, ammettendone il possibile uso solo “in via transitoria con il loro smobilizzo entro il 2050”. Il Pd guarda con attenzione al calmieramento del mercato del gas: ma mettendo in agenda essenzialmente l’aumento della concorrenza interna all’Azienda-Italia. L’asse quasi unico della “Strategia energetica nazionale” del Pd rimane l’accelerazione della transizione verde, con la cessazione di ogni produzione da carbone entro il 2025 e un incremento della produzione elettrica da fonti rinnovabili al 55% nel 2030, facendo leva su fotovoltaico ed eolico.
L’agenda di Azione – ormai condivisa in coalizione con Italia Viva – afferma che ragioni divenute “di sicurezza nazionale” impongono “la costruzione di due rigassificatori con procedure straordinarie”. Poi: “Vanno sbloccati i progetti per la produzione di energia pulita eolica e fotovoltaica che sono bloccati per l’opposizione di soprintendenze e regioni”. Non da ultimo: “Per il raggiungimento dell’obiettivo di zero emissioni nella produzione elettrica andrà riconsiderato, senza pregiudizi e sulla base di analisi costi-benefici, l’uso di centrali nucleari”.
Nel programma M5S non c’è un focus specifico e organico sulla politica energetica. Il richiamo-guida a “Società 2000 watt” conferma una strategia economica complessiva ispirata alla cosiddetta “decrescita felice”, con la rinuncia volontaria e drastica ai consumi energetici. I pentastellati ribadiscono lo “stop a nuove trivellazioni” e in esso pare chiaramente ricompreso anche quello ai rigassificatori e al nucleare. Non manca una critica esplicita al mercato europeo del gas: “Il prezzo olandese Ttf è caratterizzato da fenomeni speculativi”. La ricetta è lo sganciamento rinazionalizzatorio dei meccanismi di formazione dei prezzi all’utente, ma senza dettagli (come del resto il programma Pd) sulle modalità di assorbimento dei differenziali di prezzo fra l’import e la rivendita “amministrata” sul mercato domestico. Su questo versante la Francia ha appena annunciato la rinazionalizzazione del gigante Edf, a prezzi penalizzanti per gli investitori che hanno aderito alla privatizzazione del 2005. E nei conti del primo semestre (chiusi da Edf con una perdita record di 5,3 miliardi di euro) è già evidente il nocciolo della “soluzione Macron”.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI