Una grande pianura, brulicante di umanità al lavoro, tra polvere e grida, macchinari e lampi di sole in un cielo solcato da nuvole. Ingegneri, poeti, operai, scienziati protesi a costruire piloni e ponti e archi sempre più arditi nell’immane sforzo di arrivare al cielo, di raggiungere la Spiegazione del tutto, il Senso. Lo sguardo di don Giussani sul mondo e sulla storia colpisce il visitatore della mostra virtuale (mostra.luigigiussani.org) realizzata in occasione dei cento anni della sua nascita e riproposto nella mostra fisica del Meeting di Rimini. È lo sguardo di una passione struggente, una visione biblica e insieme ultracontemporanea. Babele, i poemi omerici e le megalopoli in cui viviamo, prendendo la metropolitana o accarezzando i figli: tutti, da sempre e dovunque, esigiamo di conoscere il Perché, la vera Ragione. Don Giussani penetra il bisogno di sapere che così spesso lasciamo nell’oscurità – tanto è scomodo – e lo porta alla luce, lo depura dalle incrostazioni, lo mette sul tavolo come un mazzo di fiori inaspettato che costringe a chiedermi: chi me lo ha mandato?
Allo stesso modo l’allegoria della grande pianura sottintende una domanda: è questo lavoro, questa spasmodica ricerca che ci fa umani? Una universalità, una immediatezza, una sorpresa, quella di don Giussani, che ha raggiunto direttamente o indirettamente generazioni e latitudini. Giovani taiwanesi come intellettuali arabi, cardinali della curia vaticana come detenuti americani, giornalisti italiani come avvocati brasiliani.
“Giussani100”, che è il titolo dell’incontro di questa sera al Meeting, non ricorda soltanto “cento anni dalla nascita”, ma simboleggia cento mondi, cento cuori, cento scintille. Cento suggestioni diverse, come quelle proposte dalla mostra.
Per il professore americano Joseph Weiler il messaggio di don Giussani è “sentire la presenza dell’Onnipotente nella vita. E questo è un messaggio che vale non solamente per i cristiani, ma anche per gli aderenti ad altre fedi come me, gli ebrei, i musulmani. Sentire la presenza dell’Onnipotente nella vita. E di questo messaggio lo devo ringraziare”.
Il filosofo francese Fabrice Hadjadj pensa che don Giussani abbia una concezione singolare e rivoluzionaria della cultura perché “essa stessa ci parla di Cristo. Dal momento che un grande autore dice qualche cosa di reale, diventa un collaboratore della rivelazione. È questo sguardo che, ai miei occhi, fa di don Giussani una figura veramente eccezionale e autenticamente cattolica. Perché cattolico significa universale, ma vuol dire anche comprendere tutta la creazione alla luce della redenzione”.
E Guzman Carriquiry, ora ambasciatore dell’Uruguay in Vaticano dopo un lunghissimo impegno nel Pontificio Consiglio per i Laici, ricorda come “fu la genialità teologica, educativa di don Giussani che mi aiutò a rivedere, a ripensare, a riformulare, ad approfondire la mia fede: un nuovo sguardo sulla mia vita. Ancora oggi mi commuovo quando mi vengono in mente alcune immagini, soprattutto come quella del 30 maggio 1998, giornata memorabile nella Piazza San Pietro, quando sostenendolo per il braccio l’accompagnai verso il papa san Giovanni Paolo II e lui si gettò in ginocchio davanti a lui. Quale immagine più espressiva di quella coessenzialità dell’istituzione, del ministero, del carisma, quella coessenzialità che il nostro dicastero aveva saputo riconoscere attraverso l’irruzione dei movimenti e delle nuove comunità nella vita della Chiesa come dono provvidenziale di Dio”.
Sono tre delle quattro voci che questa sera dialogheranno in “Giussani100”. La quarta è quella di Maria Francesca Righi, badessa del monastero di Valserena. Da giovane le capitava di fare da autista a un don Giussani che in macchina dava “indicazioni perentorie”. Ma nell’incontro personale “ricordo che aveva un assoluto rispetto della libertà dell’altro e che la suscitava con il suo solo modo di essere. In lui ho incontrato una vera paternità, che mai approfittava del suo ascendente, piuttosto aiutava la persona a prender coscienza di sé davanti a Cristo”.
Così, nelle voci della contemporaneità risuona la proposta umana di don Giussani. “Perché l’aspettano tanto?” gli chiese un giornalista al suo arrivo al Meeting nel 1983.
“Perché credo in quello che dico”.
“Solo questo?”
“Sì”.
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