Un uomo quasi anziano, con i capelli bianchi, gli occhi chiusi, in un gesto di dolore. Un uomo sicuramente consapevole che la sua vita è prossima alla fine dopo aver combattuto tanto. È una delle immagini dell’opera Family Car Trouble di Gus Powell, uno dei grandi fotografi di strada del momento. Al Meeting di Rimini di quest’anno una delle mostre è dedicata al fotografo americano che in diverse occasioni ha spiegato che non è la stessa cosa scattare una foto o fare una foto. 

Per Gus Powell, scattare una foto è entrare in ciò che fa per catturare tutto quel che sta accadendo. Non vuole usare la fotocamera per “replicare le cose”. “Cosa si può fare con qualcosa che non viene immediatamente rivelato?”, si chiede Powell. Occorre “pensare a se stessi” per capire le persone che camminano per strada, i bambini che giocano. Senza l’umanità di chi guarda non viene intercettata l’umanità di chi viene guardato. 

Quella di Powell è un’interessante provocazione in un’edizione del Meeting di Rimini dal titolo “Una passione per l’uomo”. Una passione più che mai necessaria, in questo momento in cui tutti diamo per scontato cosa significhi avere un nome e un cognome, in un momento in cui, come ha detto Alberto Cozzi, attraversiamo la vita senza scoprirci uomini. 

La passione per l’uomo a questo punto non può più essere identificata con l’impegno a migliorare la vita sociale o con lo sforzo di moralizzare un mondo in disordine, né con progetti per costruire associazioni che spiritualizzino o evangelizzino il mondo. Probabilmente la passione a cui si riferisce il Meeting di Rimini non può che essere alimentata e ricostruita nel 2022 con una sorpresa per l’umanità che tutti portiamo con noi dal momento in cui ci alziamo fino a quando andiamo a dormire. Una sorpresa per l’umanità misteriosa, esigente, inflessibile, insaziabile, bisognosa e abitata che è in ognuno di noi. Senza “mettere la nostra stessa umanità” nella foto, come dice Powell, non capiamo nulla di ciò che vediamo, non capiamo noi stessi. Ma abbiamo paura dell’umanità che è in noi. Crediamo, ci hanno convinti di questo, che sia necessario mortificarla, metterla in ordine, evitare che si perda nel soggettivismo. Ci hanno convinti che sia necessario fare un lavoro disumano per mettere in ordine la nostra umanità prima che possa apparire, anche perché la nostra capacità di amare sarebbe corrotta. Invece, dovremmo cercare di fare in modo che la nostra umanità si esprima così come l’abbiamo ricevuta. 

Abbiamo paura di soccombere al narcisismo come se quello fosse il grande male di questo tempo. Ci sembra che il narcisismo, come dice Tom Nichols, sia la grande minaccia alla vita democratica, alla vita sociale, alla vita morale. Sicuramente lo è. Ma il problema del narcisismo non è un eccesso di sé, ma è una mancanza di sé, una semplificazione dell’io che impedisce di percepire l’altro, l’Altro, che portiamo dentro. 

La situazione geostrategica, economica, politica e tecnologica è una buona occasione per ravvivare la passione per l’uomo così intesa. Eravamo convinti che, dopo la caduta del comunismo, un commercio globalizzato fosse sufficiente a portarci la pace, ma la crisi delle catene di approvvigionamento globali ci ha fatto capire che essere uomini è molto più che intervenire in un mercato perfetto o quasi perfetto.

Il ritorno a un ordine (disordine) mondiale basato esclusivamente sull’uso della forza ci ha aiutato a capire che portiamo dentro di noi un bisogno di giustizia che non viene messo a tacere né da discorsi pacifisti, né dalla rassegnazione. Il fatto che i sistemi autocratici si moltiplichino in tutto il mondo (Russia e Turchia sono due buoni esempi) ci ha aiutato a capire che la democrazia non ha solo bisogno di valori, ma di uomini che non si lasciano manipolare. 

La proliferazione dei populismi ci ha mostrato che la domanda di significato è così profonda che se non trova una risposta è disposta ad accettare qualsiasi idolo che strumentalizzi la “tradizione cristiana” o il “vero islam”. Lo sviluppo vertiginoso dell’Intelligenza Artificiale ci pressa, abbiamo bisogno di sapere come un uomo-uomo apprende, come capisce, come coglie la realtà. 

Questo inizio di XXI secolo è un grande invito a riscoprire l’umanità sconosciuta che c’è in noi. Il paradosso è che per risvegliare questa passione c’è solo uno strumento: la pelle, il contatto stretto, l’abbraccio (fisico non spirituale) dell’umanità di un altro uomo. il Me Too, gli scandali che ci sono stati, ci portano a prendere le distanze dai colleghi, dagli studenti, da tutti. Anche questa è una bella sfida. Ecco perché la libertà è più necessaria che mai. Ecco perché è stupido pensare che le regole siano sufficienti. C’è solo un modo per scattare foto.

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