Mario Draghi ha scelto il Meeting di Rimini per fare chiarezza sulla sua “Agenda”, di cui ancora ventiquattr’ore molti dei leader di partito intervenuti si strappavano di mano, tuttavia in esemplari incompleti e apocrifi.
“L’Agenda Draghi”, ha voluto ricordare il Premier, esiste, ma è in realtà l’Agenda “di” Draghi: il suo modo di governare il Paese negli ultimi 18 mesi. Anzi, uno stile di guida che rimarrà al sistema-Paese fino a quando gli italiani non avranno votato un nuovo Parlamento e i partiti non saranno riusciti a formare una nuova maggioranza di governo. È stata e resta un’agenda di “speranze” alimentate quotidianamente da scelte pragmatiche, compiute senza ritardo contro sfide difficili, un passo dopo l’altro: come il piano che ha portato il più presto possibile alla prima vaccinazione di 38 milioni di italiani. Bisognava riaprire le scuole (sono state riaperte) e mettere sui binari l’uscita dalla recessione-Covid (la ripresa c’è stata). Decisioni e risultati. “Indipendenza di giudizio” e “coraggio”. “Coesione” (risorsa della società assai più che della politica). Fiducia in un’Italia “autorevole”, che “ce la farà” perché ce l’ha fatta sempre da quando è una Repubblica democratica. Un’Italia in cui tenere in equilibrio “crescita, giustizia sociale e finanza pubblica sostenibile” è possibile: lo ha dimostrato negli ultimi 18 mesi. Lo potrà dimostrare nei prossimi cinque anni “qualunque sia il colore politico” del nuovo esecutivo.
L’Agenda “di” Draghi – che forse allo stesso interessato non spiacerebbe veder ora ribattezzata “Agenda di Rimini” – è un “metodo” ha detto il Premier. È affrontare l’emergenza energetica senza trascurare la transizione in fonti di nuova generazione, come delineato dal NextGenerationEu, rafforzato dal Recovery Plan. È considerare il ritorno di fiamma dell’inflazione una sfida strutturale ed epocale: cambiare la governance dell’euro, affiancando finalmente una politica comunitaria di bilancio a una politica monetaria puramente tecnocratica. È non perdere la fiducia che “l’Italia può farcela ancora” perché è già riuscita a coniugare “crescita, giustizia sociale e sostenibilità finanziaria”. È non dimenticare mai che la Repubblica italiana è nata dentro la Nato e dentro l’Europa, senza mai allontanarsene e pur ripudiando la guerra e cercando la pace.
L’Agenda regalata da Draghi anzitutto al “popolo del Meeting” (e non è stata la prima) supera la dimensione di metodo quando aspira a diventare “coscienza collettiva” del Paese. Quando Draghi ha ringraziato tutti coloro che hanno combattuto e vinto la guerra contro il Covid; quando ha parlato del Terzo Settore come di un’Italia sussidiaria sempre più importante e decisiva; quando ha apertamente invitato le parti sociali dell’economia a scrollarsi di dosso un’inequivocabile fase di torpore e smarrimento; quando ha citato il cardinale Zuppi come voce forte di un impegno cattolico mai venuto meno nel Paese; da ultimo: quando ha ringraziato il calore dell’accoglienza del Meeting, Draghi è parso destinare la sua agenda direttamente a ognuno dei 60 milioni di italiani. Li ha esortati tutti ad “andare a votare”.
Ma quando ha rammentato la definizione di democrazia data da Vaclav Havel (“esercizio di partecipazione responsabile”) ha ricordato loro che ogni singolo voto è importante se è espresso pensando anche al bene di tutti gli altri cittadini elettori. Che un Parlamento e un Governo sono lo specchio di una società, di tutte le persone che la animano.
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