Reddito di cittadinanza, la strada per cambiare

Nel Sud il reddito di cittadinanza ha dato luogo ad una amplissima casistica di abusi. Costa 12 mld l’anno e non possiamo permettercelo

La delicata fase autunnale sarà un difficile banco di prova per chiunque governerà. Il rialzo dei tassi annunciato dalla Fed, unito alle spinte inflazionistiche dovute al costo del gas, impatteranno con molta forza sulle casse dello Stato che dovrà trovare risorse sia per pagare un maggior costo del debito pubblico (anche al netto dell’intervento della Bce) sia per impostare una strategia di salvataggio dal caro bollette. Evitare il default di tutto il sistema produttivo e impedire un inverno al freddo per le famiglie sarà possibile solo disponendo di denari e fantasia.

E mentre dei primi ne abbiamo relativamente pochi come Stato, la seconda non ci difetta. Di certo bisognerà trovare risorse ed uno dei primi capitoli candidati a dare un contributo sarà quello del reddito di cittadinanza che costa, ad oggi, circa 12 miliardi di euro l’anno. Cosa fare di questa creatura partorita prima della pandemia ma che proprio con l’emergenza Covid si è resa per molti imprescindibile, è un interrogativo a cui le forze del futuro governo dovranno dare risposta.

La parte peggiore del Paese ha usato il reddito di cittadinanza in abusi indicibili. Le cifre esatte delle truffe sono nelle mani dei tecnici che stimano almeno 15 miliardi in due anni bruciati in truffe tra reddito di cittadinanza e pensioni di invalidità farlocche, secondo la Guardia di finanza. I percettori, come le truffe, sono più numerosi, e di parecchio, nel Mezzogiorno. Dove si contano abusi diffusi e dove il lavoro nero unito alla percezione del reddito è molto frequente.

Una prima strategia sarebbe quella di dividere i bisognosi inabili al lavoro da quelli con potenzialità per essere occupati. Detta così non è cosa semplice. Le norme sull’inabilità lavorativa sono porose e lasciano passare molti che inabili lo sono solo sulla carta, e già individuarli sarà complesso. Ma al netto di ciò restano gli abili. Come agevolare il loro impiego è la vera questione. Dei navigator ormai nessuno parla senza un sorriso beffardo, solo a pronunciarli ricordano un gadget miracoloso per i viaggi nel tempo, venduto online. Nessuno crede che funzionino, eppure sono sempre lì.

Inoltre il nostro Paese non è la Germania, da cui il reddito è in larga parte copiato. Lì se un percettore non si presenta alla chiamata diretta di un’impresa perde tutto e subito, oltre a subire una reprimenda sociale che alle latitudini mediterranee si trasforma invece in una benevola pacca sulla spalla. Forse l’unica soluzione è rendere le imprese protagoniste, mettendo a loro disposizione i nominativi ed i curriculum in una unica banca dati ed offrendo incentivi ad entrambe le parti laddove un percettore del reddito si occupi. Ma nessuno può obbligare un’impresa ad assumere un certo lavoratore, né un lavoratore ad accattare un proposta, sino ad oggi. Il tutto a meno che non si voglia tornare al vecchio sistema del collocamento numerico, che non ha mai davvero funzionato, in cui le imprese non potevano scegliere i loro dipendenti ma dovevano assumere chi gli veniva proposto dalle graduatorie.

Ecco perché si dovrebbe pensare ad introdurre una forma di avviamento obbligatorio al lavoro per i percettori disoccupati, tale che in caso di rifiuto (certificato dal solo chiamante) o di abuso non si possa più usufruire della misura. Non semplice da realizzare, ma forse l’unica misura che può salvare, laddove lo si voglia, un meccanismo di aiuto a chi si trova in condizioni di povertà. E resta il problema del lavoro nero. Che agevola sia il percettore che il datore di lavoro. Entrambi accomunati dall’interesse di non far emergere la prestazione.

Ecco, su questo punto sarebbe ora di fare sul serio. Ed aumentare i controlli e inasprire le pene. Non è tollerabile il lavoro nero già di per sé, ma quando non è scelto per uno stato di necessità a cui il lavoratore soggiace, bensì è un scelta di accumulo indebita da parte di chi già sta percependo, ben consapevole, un congruo aiuto dallo Stato, allora in quel caso andrebbe punito – assieme al datore di lavoro – anche e più severamente il lavoratore.

Tutto molto complesso, come lo saranno i prossimi mesi, ma non vi è dubbio che nella prospettiva emergenziale che ci attende sia necessario avere uno strumento di sostegno contro la povertà da un parte, ed evitare ogni abuso o utilizzo scorretto dei fondi pubblici dall’altra

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