Quando il 9 settembre il Consiglio Ue si riunirà in via straordinaria per affrontare l’emergenza energetica, la crisi del gas sarà nei fatti già vecchia di un anno. Nei primi giorni di settembre del 2021 il prezzo del gas sul mercato olandese superò per la prima volta i 50 euro: sette volte meno del picco registrato negli ultimi giorni dell’agosto 2022, ma già il doppio rispetto al maggio dell’anno scorso. Da allora una cosiddetta “emergenza” è rimasta tale per 365 giorni: non è mai stata affrontata neppure dopo che l’attacco russo all’Ucraina – sei mesi fa – ha chiarito quali erano le premesse geopolitiche dell’anomalo rialzo del gas nei sei mesi precedenti.
Ma è appunto la confrontation geopolitica che i governi di Russia, Ucraina, Usa e Ue hanno dapprima rinunciato a prevenire e poi sempre (anche tuttora) rifiutato di negoziare che rende da un anno la cosiddetta “emergenza” una condizione strutturale: un vincolo esterno all’economia, soprattutto a quella europea, chiamata a sopportare la gran parte dello sforzo bellico via sanzioni…
In assenza della volontà – o della capacità – di rimuovere le cause politiche dell’iper-inflazione energetica, i governi europei si ritrovano ora a rincorrere in tutta fretta soluzioni apparentemente tecniche, in realtà a forte contenuto politico.
Il primo dilemma: i razionamenti ora inevitabili (anche se finora si è ottimisticamente ritenuto il contrario, senza predisporre reali “piani B”) dovranno colpire più le famiglie o le imprese? In realtà, è il semi-nodo di una questione simmetrica: a chi indirizzare sussidi d’emergenza? La razionalità politico-economica propende per le imprese (un nuovo lockdown da gas si annuncia fatale soprattutto per comparti industriali importanti, specie nella piccola e media dimensione). La razionalità politico-sociale si muove in direzione contraria. Forse è per questo che in prossimità del voto – massimo momento di democrazia politica – i partiti italiani rifuggono dalla chiarezza.
Un secondo nodo non riguarda solo chi va aiutato prioritariamente e in fondo neppure con quanti mezzi. Concerne invece quali saranno le fonti di finanziamento della manovra d’emergenza: la fiscalità generale (con nuovo deficit/debito, come sembra escludere il premier uscente Mario Draghi)? Oppure con forme di prelievo straordinario mirato? E su quali imprese: solo quelle energetiche, che avrebbero realizzato sovraprofitti via crisi? La Francia ha già imboccato una strada lineare: ha rinazionalizzato il gigante Edf, facendo carico allo Stato-proprietario di tutti i margini negativi fra prezzi all’ingrosso alle stelle e prezzi all’utente amministrati. Parigi mette dunque, da un lato, sotto pressione la sua industria energetica, ma dall’altro restituisce allo Stato pieno protagonismo sul mercato interno dell’energia, anche nella prospettiva della transizione verde.
Un terzo nodo “tecnico-politico” è quello specifico, tuttora aggrovigliato sul tavolo dei 27: è possibile, consigliabile, condivisibile un tetto al prezzo del gas in Europa? Qui è massima la divaricazione fra politiche (nazionali ed europee) e logiche di mercato ed è esemplare il caso dell’Olanda, che ospita la principale piattaforma di scambio e che difende tenacemente i propri vantaggi economici contro la stessa solidarietà fra Paesi Ue.
Guerra o cessate il fuoco. Priorità alle imprese o sussidi indifferenziati. Addossamento degli oneri straordinari per finanziare i sussidi. Europa rilanciata o definitivamente lacerata dalla guerra fra Usa e Russia. Il resto (purtroppo) appare pura conversazione, a cominciare dal “wishful thinking” che la guerra ucraina possa essere l’occasione imperdibile per accelerare la transizione verso fonti alternative. O per seppellire definitivamente il nucleare.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.