Avere uno scavezzacollo per figlio non è il sogno di nessun padre e madre sulla terra: “Se avessi un figlio così, giuro che lo ammazzo di botte” s’ode da più parti l’eco. Nessuno, però, potrà mai dire con certezza come reagirà prima che gli capiti. “Un uomo aveva due figli. Il più giovane (…)”. La platea del Cristoddìo è oggi un salone da parrucchiera: farisei e dottori della legge mormorano per il semplice fatto ch’Egli frequenta gli usurai e le puttane. Peggio: si siede a tavola e mangia addirittura con questa gentaglia. Il che, in paese, è come dire loro: “Tu mi appartieni, tu sei mio amico!” Figurarsi la gente della messa prima: potesse disfare Cristo, lo farebbe. Lui, invece, s’improvvisa cantastorie: racconta storie per spiegare loro il suo comportamento. Per portar a galla un principio: “Per me – pare dire – non conta ciò che tu meriteresti. Conta che io voglia donarmi di più a chi pensa d’esser uscito per sempre dal mio cuore”.

E il padre, quando capita di trovarsi in mezzo, “divise tra loro le sostanze”. Quel figlio: un pelandrone che s’improvvisa playboy, è un dipinto che nega di essere mai stato toccato dalla mano di un artista: “Mio padre è la mia prigione!” sbraitava quando, un giorno, volle smettere di essere un’ombra per cercare di diventare la realtà. “Tornerà” si disse tra sé il padre e, così pensando, sbugiardò se stesso: Dio, qualunque sia la strada che l’uomo sposerà, non lo perderà mai di vista. Lo (man)terrà sempre d’occhio, si farà trovare pronto nell’attimo della chiamata di soccorso.

Incapace di cavarsela da sé come aveva calcolato – “Me la caverò da solo, alla faccia di mio padre!” – la fame lo inchioda al muro: manco i primi piatti di un maiale riesce a procurarsi. Gli sopraggiungono le allucinazioni: “Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame”.

Torna, perché ritorna, non per pentimento, amarezza, rammarico: torna solo perché ha fame. “Approfittatore: fallo morire di fame, nessuna compassione!” pensano gli uditori nel mentre, ascoltando la storia, ricostruiscono la scena. Invece picche: il Dio-cantastorie si servirà di tutto, anche della fame, per far sì che chi è andato a perdersi possa delicatamente ritornare a lui.

E quand’è ancora distante da casa, il padre “lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. Basta questo perché la fame del figlio pelandrone sia saziata all’istante. E il pettegolezzo del pubblico pagante divampi: “Non è giusto, Dio ingiusto. Non era in ordine quell’uomo!”. Difatti, sguazzava nel disordine più disordinato. Oggi, però, gli uomini che vanno in cerca di Dio lo cercano non per l’ordine che trovano nel mondo ma per il disordine che incontrano dentro loro stessi. Il cristianesimo (ri)comincia sempre da una catastrofe: come la prima volta a Betlemme, anche stavolta – che è ogni volta, la nostra prima volta – Dio scende dal cielo alla terra per tentare di raddrizzare il mondo. Anche le prospettive: salvàti sì, ma secondo la volontà di Dio, non secondo la nostra volontà. “Presto, portate qui il vestito”.

Se il figlio non fosse tornato? Nessun problema: lascerà “le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta”. Da sola non può salvarsi, le riesce solo di belare, è davvero perduta? Dio non resta tranquillamente ad aspettare, in pantofole: se per qualunque motivo non può ritornare, ritorna Lui da lei. E se, invece, si fosse così perduto da essere morto completamente, da non riuscir più a fare nulla? Nessun problema: “Accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova” (cfr Lc 15,1-32).

La misura della nostra perdizione rimarrà la misura identica della premura di Dio nei nostri confronti. Pazienza per quell’altro figlio, che aveva il sostegno dei farisei e degli esperti della legge: la sua religione aveva messo le pantofole. Non gli riuscì di capire che la fede non impedisce ad un fratello di peccare, ma toglie al peccato le gioie amare che potrebbe dare a chi gli darà credito. Nel frattempo mentre in tribuna mormorano, Dio è già sceso in pista per (soc)correre.

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