È passata una settimana da quando è morto Angelo Abbondio. Nella sua vita è stato uno dei finanzieri italiani tra i più grandi, capace di battere ogni anno il record di rendimento per i patrimoni gestiti dal fondo “Sinfonia” che lui amministrava. Ma non è certo questa la storia che voglio raccontare, perché non ne sarei capace. Vorrei invece parlare della mia amicizia con lui, cioè di una delle persone da cui ho imparato e ricevuto di più in modo gratuito.

Lo conobbi attraverso Don Franco Berti, che nella sua permanenza in parrocchie del centro di Milano divenne molto amico di un gruppo di famiglie interessate al cristianesimo così come era proposto da Don Giussani, e alle sue implicazioni culturali. Questo gruppo di persone diede vita al circolo “Peguy”, un centro culturale la cui attività culminava in un incontro conviviale mensile con diverse personalità.

Proprio in quel periodo era nata la Compagnia delle Opere e quindi fui invitato al “Peguy” a testimoniare come il desiderio umano e la fede avessero a che fare con quell’attività economica che loro svolgevano al massimo livello.

Fu in quell’occasione che conobbi Angelo e sua moglie Fernanda. Fui immediatamente colpito da due caratteristiche comuni che li distinguevano: la prima era la grandissima simpatia per le ragioni dell’agire degli altri, la seconda una stupenda e profondissima curiosità, con il desiderio di conoscere e imparare.

Successivamente, a una di quelle cene invitarono anche Don Giussani e letteralmente se ne innamorarono. Erano persone dalla non comune finezza d’animo, comprendevano di aver bisogno di un padre a cui affidarsi e con cui dialogare delle cose grandi e piccole, che avvengono in un’esistenza normale.

Angelo domandò a Giussani come impiegare le sue energie extra lavoro per un motivo ideale. Giussani gli suggerì di impegnarsi nella Compagnia delle Opere.

In questo modo un grande finanziere venne a collaborare nel ruolo di vice con un presidente del tutto inesperto senza preoccuparsi di mettere in gioco pubblicamente la sua grande reputazione e prestigio nel mondo degli affari.

Si muoveva nei miei confronti con la stessa ironia e pazienza del mitico Maestro Miyagi di Karate Kid verso il ragazzo che deve imparare l’arte marziale. Partecipava alle riunioni in silenzio, ascoltando tutti per poi, con una battuta, centrare il punto della questione, correggendo gli errori senza umiliare nessuno e valorizzando ogni piccolo spunto positivo.

Si realizzavano così in lui i due consigli che mi aveva dato Don Giussani all’inizio dell’avventura: aiutare chiunque intraprende e dimostrare che è possibile muoversi nel mondo dell’economia in modo umano e cristiano.

Passarono gli anni e Angelo Abbondio rimase al mio fianco anche quando lasciai la Compagnia delle Opere e cominciai la nuova avventura della Fondazione per la Sussidiarietà, aiutando anche a dar vita al quotidiano online ilsussidiario.net.

Si condivideva tutto, anche l’aspetto religioso fondante della persona. Mi ricordo ancora i pranzi a casa sua in cui, insieme a sua moglie Fernanda, mi incalzava con domande e osservazioni sui testi di Giussani, puntualmente sottolineati nei punti cruciali con la sua immancabile matitina. Negli anni emerse sempre di più la sua totale gratuità nell’affrontare tutto, che si può esemplificare in due episodi.

Il primo: l’avvocato Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, mi convocò perché convincessi Angelo a rimanere altri quattro anni nel consiglio della Fondazione stessa, di cui era membro. Guzzetti mi disse che tanti ambivano a quella carica, ma lui aveva bisogno che rimanesse Abbondio, un uomo che in modo assolutamente disinteressato era in grado di far fruttare i beni dell’azienda.

Il secondo episodio è questo: in occasione del terremoto delle Marche, Angelo sentì l’intervista di un agricoltore che aveva perso tutto per quello che era avvenuto e mi spronò affinché io lo rintracciassi e lo potessi aiutare a ripartire con la sua attività. È da questa gratuità che nacque la Fondazione “Umano Progresso” con cui, coadiuvato da sua moglie e da sua figlia Cinzia, cominciò sistematicamente ad aiutare opere caritative.

In questo contesto Fernanda, accompagnata da Angelo, incontrò Don Giussani e gli chiese che realtà poteva aiutare in America Latina. La risposta che ottenne fu questa: “Gira tra tutti i luoghi e decidi tu dove ti corrisponde di più”. Angelo aggiunse: “Ma io che ruolo devo avere in tutto questo?”. Giussani rispose con profonda capacità di leggere la totale interattività della coppia e la loro fine ironia: “Tu la accompagnerai facendole da segretario!”. La cosa avvenne e gli Abbondio scelsero Salvador de Bahia dove esistevano gli “alagados” che rappresentavano le peggiori favelas del Brasile, con case su palafitte, mancanza totale di servizi igienici e colera galoppante.

Insieme all’Avsi, i coniugi e la figlia Cinzia diedero vita al risanamento del luogo in un modo del tutto originale perché, come raramente avviene, in totale accordo con la comunità di villaggio.

Questa unicità del metodo venne colta addirittura dalla Banca Mondiale che si affiancò al progetto e lo completò. Ci si poteva fermare: ma gli Abbondio, geni dell’umano, capivano il limite di tanti progetti del Terzo mondo: non bastano le opere fisiche, bisogna educare la gente, soprattutto i giovani. Perciò, dialogando con Julián Carrón con cui continuò la “figliolanza” cominciata con Giussani, gli Abbondio prima fecero costruire una chiesa e un centro sociale, poi gli chiesero che fossero mandati in quel posto un prete, Don Emilio, e una memor, Paola Cigarini.

Nacque così una realtà impressionante e unica, frequentata ogni giorno da migliaia di ragazzi che ancora oggi la affollano per essere aiutati nello studio, praticare sport in regolari squadre che partecipano a campionati, essere curati sul piano medico, e in generale essere educati a diventare uomini sottraendosi a un destino infelice.

È quella febbre di vita che ha caratterizzato Angelo e la sua famiglia. Se, come diceva don Giussani, un atto buono salva la vita perché Dio è misericordioso, lassù in cielo Angelo deve essere molto, molto in alto.

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