Ancora la crisi, quella vera, non è arrivata. Draghi con i suoi ultimi atti ha sterilizzato, almeno fino a metà ottobre, gli effetti più violenti con un impegno di circa 13 miliardi senza fare scostamenti di bilancio e gestendo in modo oculato le ultime risorse a lui riferibili come impiego. La selva di sconti, decurtazioni e bonus serve a mantenere sotto controllo per qualche settimana gli italiani, per ora spaventati, alle prese con i rincari ma ancora ignari della reale portata di quanto all’orizzonte vedono gli economisti. Gli impatti della crisi energetica, uniti alla più onerosa gestione del debito pubblico a causa dei rincari dei tassi, metteranno le ali all’inflazione producendo una sostanziale riduzione del potere di spesa delle famiglie che non avranno, se lo scenario resterà invariato, le risorse per mantenere il tenore di vita dei mesi precedenti.
In questo contesto il tessuto produttivo inizia già a prendere le sue contromosse facendo sentire pubblicamente la sua voce, ma manca una reale percezione collettiva del pericolo e, probabilmente, la reazione arriverà quando gli effetti si saranno già prodotti.
Su come evitare questo scenario le decisioni vere saranno prese dal nuovo governo e non saranno semplici. Se per un verso, infatti, Draghi ha concluso il suo lavoro dando indicazione di proseguire sulla rotta del Pnrr mantenendo centrale la matrice europea ed atlantica del Paese, la reale portata delle difficoltà da gestire porterà a delle decisioni che, almeno in un caso, saranno inevitabili. Mentre infatti la collocazione internazionale del Paese è fuori discussione, nonostante le fibrillazioni elettorali, la strategia macroeconomica da attuare andrà rivista. In primo luogo per la già denunciata discrasia dei costi previsti del Pnrr rispetto a quelli attuali. Il fenomeno inflazionistico riguarda larga parte dei settori produttivi e gli aumenti sono tali da rendere le iniziative molto meno convenienti e perciò la struttura stessa del Pnrr è a rischio. Non tanto nel suo legame tra le riforme e gli obiettivi economici, quanto nella scelta delle priorità di investimento.
Un esempio chiaro riguarda il Mezzogiorno. La visione del Pnrr immaginava un Sud del Paese destinatario di investimenti aggiuntivi per far crescere il Pil in modo accelerato rispetto al resto del Paese, in modo da tagliare i tempi necessari a raggiungere la coesione territoriale con il Nord. La sostanza del ragionamento era quella che una economia depressa andava aiutata attraverso nuove infrastrutture e nuovi investimenti che, aumentando la spesa, avrebbero prodotto maggiore occupazione e maggiore Pil. Solo che la crisi incipiente rischia di non consentire a questa strategia di funzionare. In uno scenario di inflazione alta e di disagio sociale elevato, gli investimenti rischiano di essere bruciati dal loro maggior costo ed il disagio sociale rischia di far apparire distoniche le opere infrastrutturali mentre le famiglie non riescono a pagare le bollette.
Il reddito pro-capite nel Mezzogiorno, infatti, già estremamente basso, rischia di essere eroso dall’inflazione in quote tali da rendere insostenibile la vita quotidiana per i salariati e non. Ecco perché si dovrà per forza di cose mettere mano alle risorse per politiche di salvataggio del reddito nel Mezzogiorno, unitamente a politiche di investimento nelle infrastrutture. Non solo, quindi, rivedere gli investimenti alla luce della loro concreta sostenibilità, ma anche politiche sul reddito da lavoro e di impresa che mettano al riparo da una potenziale crisi distruttiva del tessuto sociale. Il tutto arginando nettamente ogni spinta autonomista legata al regionalismo differenziato che rischierebbe, ove attuata secondo gli intendimenti, di rendere ancor più insostenibile la gestione delle stesse istruzioni nel Mezzogiorno già carenti di risorse.
Ecco perché il tema delle settimane a venire non sarà solamente come rivedere il reddito di cittadinanza, ma ancor di più come rendere stabile la situazione economica delle famiglie del Sud e come salvaguardarne il tessuto produttivo. In questo progetto di protezione avanzata del tessuto economico le risorse del Pnrr possono avere un ruolo importante anche come strumento politico. Occorre proseguire nelle riforme e nell’ammodernamento del Mezzogiorno in cambio di politiche di tutela del suo tessuto sociale, oltre che infrastrutturale e produttivo. Il mutato scenario macroeconomico va accolto e gestito in modo da rendere effettiva la priorità della coesione territoriale ricercata dal Pnrr, seppur cambiandone i driver senza modificarne gli obiettivi. A questo Draghi non ha potuto provvedere, non potendo avviare un processo di tale portata a scadenza del mandato, ma ha lucidamente indicato come la strada sia quella di non abbandonare il Pnrr come metodo lasciando a chi verrà il compito di trovare i correttivi che saranno necessari.
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