Papa Francesco, il realismo del possibile

Lo spirito di Helsinki contro quello della guerra fredda. La pace? Occorre dialogare anche con l'aggressore. Il viaggio di Francesco in Kazakistan

Il viaggio (anche in carrozzina) di papa Francesco in Kazakistan è storico, anzi, come piace dire adesso, epocale. Infatti il papa attuale rilancia e aggiorna il ruolo della Chiesa cattolica nel processo di cambiamento degli equilibri geo-politici del mondo, e lo fa in profonda continuità con l’opera iniziata da san Giovanni Paolo II. Wojtyła andò in Kazakistan nel settembre 2001, all’indomani degli attentati alle Torri gemelle, prima “dimostrazione” che l’impero d’occidente non era invulnerabile. Francesco ci è andato mentre in Ucraina la guerra mondiale a pezzi rischia di saldarsi in un conflitto globale forse atomico. Nel 2001 la matrice dell’aggressore era terroristica-islamica, oggi imperialistica russo-ortodossa. La prima puntava a destabilizzare, la seconda a ridisegnare gli assetti del potere in un mondo diviso in blocchi in base alle “ragioni della forza”.



Blocchi o spirito di Helsinki?

Ecco, Francesco avverte con decisioni che le ragioni della forza sono “inconcludenti” ai fini della pace. Allo spirito della guerra fredda diventata incandescente contrappone lo “spirito di Helsinki”. La capitale della Finlandia fu la sede dove si concluse la Conferenza per la sicurezza in Europa con un Trattato sottoscritto da 35 paesi “da Vancouver a Vladivostok”, cioè dal Canada alla Russia (di Breznev), passando per gli Usa di Gerald Ford e anche per la nostra Italia rappresentata da Aldo Moro (che strinse la mano a Breznev e che a domanda rispose: “Breznev passerà, il seme buono gettato resterà e potrà portare frutto”). E passando anche per la stessa Santa Sede, che per la prima volta, dopo il Congresso di Vienna del 1815, si sedeva a un tavolo degli Stati a pari titolo.



Si concordarono il rispetto dei diritti di sovranità, il non ricorso alla minaccia armata, l’inviolabilità delle frontiere, il rispetto dei diritti umani, la cooperazione internazionale, in una logica non di blocchi egemonici ma multilaterale. Fu un’esperienza formidabile di dialogo. Si badi: non è questione di amarcord. Oggi l’Osce – Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa – esiste, sarà un tantino decotta, ma se c’è la volontà politica può essere utilmente richiamata in servizio effettivo.

Ma tutto ciò solo per dire che sbaglia chi pensa che il papa faccia richiami astratti omiletico-moralisti oppure ideologico-pacifisti. La via che cerca è il realismo del possibile.



L’uomo via delle religioni

Lo “spirito di Helsinki” suppone una certa concezione del ricorso alla guerra, della politica e della diplomazia, e in ultima analisi dell’uomo. Antica e nuova dottrina sociale e catechismo: è legittima e segno di amor di patria la difesa in armi, a patto che non camuffi altri scopi;  la politica e la diplomazia, se sono per il bene comune, cercano il dialogo anche con l’aggressore. E l’uomo? L’uomo può far questo se ascolta le urgenze naturali del cuore, che innanzitutto gli dicono che egli è creatura, non padrone della vita e della morte propria e altrui; solo riconoscendosi creature si afferma la dignità inviolabile e non manipolabile della persona e la fratellanza; la quale sola è l’incubatore della pace. “Mantenere desta l’anima e limpida la mente”, dice il grande poeta kazako Abai.

“In questo modo si capisce la formula di Giovanni Paolo II, “l’uomo è la via della Chiesa”, rilanciata e rimodulata da Francesco in “l’uomo è la via della Chiesa e delle religioni”. È l’idea che il senso religioso è il culmine della ragionevolezza, il tabernacolo della sua dignità, e il fattore storico che spinge gli uomini ad agire e mettersi insieme per il bene comune al di sopra delle estraneità e delle divisioni. Oggi questa posizione dei due Pontefici sta facendo breccia nel mondo musulmano, mentre è nota la difficoltà con i vertici dell’ortodossia moscovita.

Le religioni però devono riscattarsi da due possibili deviazioni: quella di essere puntello del potere, prestando il nome di Dio a interessi e lotte mondane; o quella di accettare la riduzione a fenomeno privato, senza esplicita presenza e incidenza pubblica. Est e Ovest, no?

Memoria e testimoni

Si tratta dunque, in radice, di una grande opera educativa che può avvalersi di due formidabili supporti: la memoria e l’esempio dei testimoni. I testimoni sono quelli che il papa chiama i grandi, i grandi della politica, come furono Adenauer, Schuman e De Gasperi che fecero l’Europa, e gli altri che fecero Helsinki. Con un insegnamento per la politica a ogni latitudine e financo a ogni tornata elettorale: sì ai grandi (quelli che si spendono per un giusto ideale), no ai “messia” . I testimoni rendono viva anche la memoria: il Kazakistan stesso è luogo dove “dalla persecuzione si è passati all’inclusione”, con la pacifica convivenza di 130 etnie e un tot di religioni diverse, sul principale, immenso” ponte” eurasiatico.  Francesco ha ancorato molti snodi del suo discorso a pensieri del grande poeta e scrittore kazako Abai Kunanbaev, valorizzando un genio del popolo come per noi si può con Dante, o Manzoni o – ma ci vuole il genio di don Giussani – Leopardi (tra parentesi, poeta di cui Francesco, anche per via della location ma certo non solo, ha citato il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (“ove tende questo vagar mio breve?”).

Roba (anche) da artigiani

L’appello di Francesco non è solo ai grandi, e per quanto si è cercato di evidenziare, ancorché per sommi capi, dovrebbe rendercelo evidente: mette in azione ognuno di noi. La parola che Francesco ha ripetuto è “artigiano”. Bella questa parola: indica un io in azione, con la vocazione e il gusto del lavoro ben fatto in cui lui stesso si sente realizzato; non delega, non si chiede “e chi me lo fa fare?”, le cose le fa su misura. Conserva la sapienza della tradizione e continuamente innova (avete presente la non casuale attrattiva della Fiera dell’Artigianato?).

Un grande artigiano della pace (in Centrafrica) è il cardinale Dieudonné Nzapalainga di Bangui (io gli darei il Premio Nobel). Parlando in Italia a un piccolo pubblico di gente di un paesotto, ha buttato lì, tra l’altro: “se ci sono nei vostri paesi comunità ucraine e russe, cercate di coinvolgerle nel fare insieme azioni di aiuto a ucraini e russi bisognosi. Artigiani di comunione, ha detto Francesco, giustappunto.

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