La Librairie de Flore, situata in una delle zone più esclusive di Parigi, a pochi metri dal Louvre, offre ai suoi lettori la ristampa di uno dei libri sul pensiero politico di Charles Maurras, l’intellettuale francese scomparso 70 anni fa che ispirò l’Action française, giornale e movimento politico dei primi del Novecento.
Nelle pagine che vengono rimesse in vendita, Maurras difende il suo “nazionalismo integrale”. Sostiene che la Francia è in declino a causa dell’influenza dei giacobini, dei protestanti, degli ebrei e dei massoni. Per recuperare la sua essenza è necessario che “la Francia sia sola”. È necessario recuperare un’identità radicata in Grecia, a Roma e nel Mediterraneo, ostile all’Europa anglosassone e germanica.
Maurras non ammirava Hitler, ma Mussolini e Franco. Perse la fede nell’adolescenza e si definì un cattolico non cristiano. Disprezzava Cristo perché ebreo. Tuttavia, elogiava il cattolicesimo e la Chiesa per la sua capacità di difendere la tradizione e i valori naturali. Ha sempre sostenuto “la politica davanti a tutto”. Pensava che solo un potere politico avesse i mezzi per attuare riforme sociali. E per questo la questione culturale, la questione morale, la questione sociale erano ridotte a una questione politica.
Molti cattolici sostennero l’Action française pensando che fosse lo strumento migliore per difendere il loro modo di concepire il mondo. Ma tutto si complicò quando Pio XI condannò buona parte delle opere di Maurras. Non era una condanna politica, ma una condanna per difendere chiaramente la centralità di Cristo. Il Papa osservò che l’ideologia del nazionalismo integrale non cercava il “regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo”.
Non è un caso che Maurras torni oggi in libreria. Lo fa in un momento in cui un certo tipo di sovranismo, rivendicando i valori della famiglia, la dignità della tradizione, la “sicurezza etnica” e l’unicità delle strutture produttive nazionali, richiede “meno Europa”.
In realtà, in questo momento, se la politica è concepita non come un progetto ideologico ma come uno strumento per soddisfare bisogni reali, la cosa più urgente e necessaria è rafforzare il progetto europeo. La pandemia e la guerra in Ucraina ci hanno fatto capire quanto abbiamo bisogno di “più Europa” e come, nonostante tutti i problemi, sia possibile un’Europa tendenzialmente federale.
L’ordine internazionale costruito dopo la Seconda guerra mondiale è scomparso e siamo minacciati da sistemi autocratici (Russia, Turchia, Cina, Qatar) disposti a usare la violenza e la repressione. I movimenti di globalizzazione e deglobalizzazione richiedono l’esistenza di potenze regionali di medie dimensioni anche in ambito economico. Pensare che un Paese dell’Unione Europea possa andare avanti da solo non è realistico, basta guardare cosa sta succedendo al Regno Unito dopo la Brexit. E il Regno Unito non è un Paese qualsiasi.
La lotta al Covid e alle sue conseguenze economiche ha permesso ai membri dell’Unione Europea di compiere passi molto importanti. Senza l’aiuto del Next Generation Eu, i Paesi del sud sarebbero stati sepolti dalla crisi. È stato emesso un debito congiunto, una soluzione che fino a quel momento sembra inattuabile.
Prima della guerra, le posizioni nei confronti della Russia erano molto varie: alcuni la consideravano un alleato, altri una sfida strategica. L’invasione ha provocato uno shock: è stato adottato un pacchetto di sanzioni senza precedenti, la Germania ha cambiato la sua politica estera. È stato possibile un’accoglienza dei profughi ucraini che si è lasciata alle spalle quanto accaduto nel 2015. Per far fronte alla crisi generata dalla chiusura del gasdotto Nord Stream, sarà approvata una politica energetica comune.
Il momento è delicato. Qualsiasi avanzamento del sovranismo sarebbe un duro colpo per l’euro. Il nazionalismo comporta povertà e instabilità. Il nazionalismo integrale è una chimera, o peggio: un inganno per ottenere voti.
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