“In questo delicato momento per il Paese l’urgenza posta dal presidente del Consiglio sulla necessità di trovare soluzioni per il pagamento dei costi energetici ci sprona a dare il nostro contributo affinché il Paese, le famiglie, le imprese, possano contare sulla disponibilità a mettere a fattore comune soluzioni concrete, risorse funzionali a superare il difficile contesto internazionale. Intesa Sanpaolo anche in questo frangente è pronta a fare la sua parte convinta dell’efficacia della collaborazione tra pubblico e privato per far uscire il nostro Paese più forte da questa crisi. Le imprese devono essere sostenute nel far fronte al caro energia, in particolare realtà fondamentali per il nostro futuro come scuole ed ospedali che non possono fermarsi in attesa di tempi migliori”. Le parole, di qualche giorno fa, sono di Carlo Messina, Ceo di Intesa Sanpaolo che ha messo sul tavolo interventi creditizi d’emergenza per 2 miliardi indirizzati alle imprese.
Con toni non diversi ha però parlato anche il vertice UniCredit: l’altro “campione nazionale” pilotato da Andrea Orcel ha appena annunciato in asse con la Bei un piano europeo per complessivi 8 miliardi di euro di finanziamenti a favore delle Pmi. Si sono mossi Banco Bpm (5 miliardi, con focus inflazione energetica) e Bper (in partnership con Cdp). Altri nomi potrebbero essere citati: oltre naturalmente a quello del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, fiducioso di “vincere la battaglia contro l’inflazione limitando al minimo i danni”. Con l’aiuto delle banche. Anzi: utilizzando il sistema bancario come leva principale di una lunga gittata strategica oltre una lunghissima crisi.
Dal Covid al clash geopolitico attorno all’Ucraina (e a Taiwan). Mario Draghi non immaginava che il suo “manifesto” del marzo 2020 sarebbe stato ancora il principale manuale operativo trenta mesi dopo: quando l’allora fresco ex presidente della Bce è divenuto Premier italiano, premiato a margine dell’Onu come “statista dell’anno” con i complimenti di Henry Kissinger e gli auguri autografi del Presidente Usa Joe Biden. Quel secco “column” sul Financial Times – nel buio del primo lockdown – accendeva due luci in fondo al tunnel: quella di un’azione strutturale di recovery attraverso un maxi-indebitamento straordinario; e il ruolo centrale del sistema centrale come “algoritmico” nel pilotare le economie occidentali in un “new normal”.
Il Recovery Fund è ancora il collante e il cruscotto di una Ue convalescente e premuta dalla guerra ai confini. Il sistema bancario – una della grandi infrastrutture della civiltà europea – continua a resistere: anche se (non solo in Italia con Mps) le cicatrici lunghe della crisi del 2008 e quelle più fresche della recessione da pandemia continuano a far male.
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