Le parole più belle, i principi più giusti, le verità più necessarie, i valori più evidenti sono sempre sul punto di trasformarsi in ideologia. Il risultato delle elezioni di domenica ne è una conferma. L’uso fatto della parola popolo è un chiaro esempio di questa colonizzazione ideologica. Un popolo non è un polo dialettico definito dall’opposizione a un altro polo. Non è un’etnia, né una folla, né una massa. Non è un fenomeno sociologico o una categoria di parte. È un fenomeno positivo, è la radice della comunità politica nelle sue prime espressioni, è un mondo condiviso, un certo senso della realtà. È qualcosa di necessario, solo all’interno di un popolo si può essere umani e vivere come un essere umano tra gli umani.
Il popolo è ciò che viene dato e ciò che viene accettato, non è un a priori, è un fenomeno, è qualcosa che accade. Ma con la parola popolo si può fare quello che ha fatto Perón, in Argentina negli anni 50 e quello che ha fatto Giovanni Gentile all’inizio del Novecento in Italia. Perón trasformò il popolo in una categoria personalista, sentimentalista, antimperialista, nazionalista. L’argentino ha ispirato Ernesto Laclau che, a sua volta, è l’ispiratore di tutti i populismi latinoamericani. Per Laclau, costruire il popolo è “costruire confini antagonistici all’interno del sociale” per conquistare il potere e non perderlo. Nel caso di Gentile, l’ispiratore di Mussolini, “lo spirito del popolo” si realizza in uno Stato che ha diritto a tutto.
Un altro esempio di colonizzazione ideologica è un certo uso del principio del “protagonismo sociale”. Non c’è niente di più conveniente di uno Stato disposto a dare spazio e a promuovere l’iniziativa sociale. Ciò non ha impedito che vent’anni fa, in nome dell’incoraggiamento di “più società”, venisse giustificato il primato assoluto del mercato sulla politica. Il principio del protagonismo sociale può diventare un pretesto per la difesa degli interessi che rappresentano una parte della società, un certo gruppo. È ciò che ha pervertito la sinistra americana negli anni 70 del secolo scorso.
Il bene di tutti non può essere la somma degli interessi di ciascuna delle minoranze o maggioranze relative. La libertà di iniziativa di una parte della società ha senso se comporta una maggiore responsabilità nei confronti di tutti. Così come c’è uno “Stato di potere”, che soffoca la persona e il popolo, c’è anche una “società di potere” che assolutizza gli interessi particolari. I principi più sani possono diventare, e anzi spesso diventano, un progetto politico che analizza e utilizza la realtà sulla base di una concezione prestabilita. Questo esercizio analitico viene solitamente eseguito in laboratori ben disinfettati.
È possibile evitare l’ideologizzazione solo se il primato viene dato alla vita. Alla vita non pensata, non proiettata, non programmata. Alla vita che affronta e dà risposte a ogni tipo di bisogno. Vita e principi sembrano uguali, infatti usano le stesse parole. Ma la vita è di un ordine diverso, è qualitativamente diversa. Si distingue per la sua capacità di generare, di mobilitare, di cambiare senza violenza, liberamente.
I giusti principi che un tempo alimentavano il cambiamento quasi impercettibilmente si allontanano dalla realtà e finiscono per giustificare gli apparati. La vita, sempre fragile e imprevista, si nutre del desiderio e del miracolo. Gli Stati di potere e le società di potere vogliono governare i desideri dell’uomo, ridurli. La vita li allarga.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI