Qualche sera fa gli amici del Teatro Oscar, nel loro percorso itinerante che ha proposto spettacoli in tanti luoghi inattesi di Milano, hanno organizzato una lettura di testi di Pier Paolo Pasolini in un contesto suggestivo: il sagrato della chiesa di San Nicolao della Flue, un edificio strano e affascinante, progettato negli anni 70 da Ignazio Gardella, nella periferia est della città. Protagonista della serata un grande attore come Sandro Lombardi, che aveva pure curato la selezione e il montaggio dei testi. Immaginatelo dunque, solo su quel sagrato, con alle spalle le linee della navata, disegnata a forma di carena rovesciata, visibile a tutti in quanto le porte sono state tenute aperte.
Ma veniamo alla questione. Nel suo palinsesto di letture Lombardi ha proposto un testo in cui brani tratti dal famoso articolo sull’aborto del 19 gennaio 1975 si alternavano, senza soluzione di continuità, a brani presi dall’ultimo romanzo di Pasolini, pubblicato incompiuto, Petrolio.
Da quelle pagine visionarie ad un certo punto sono risuonate queste parole: “Laggiù, nell’eternità di un ricevimento notturno di mezza estate, con le luci che sfolgoravano nel freddino della sera, sull’erba stenta di un giardinetto incassato tra casamenti di lusso, col venticello che di tanto in tanto agitava le foglioline lucide dei limoni, quella gente è rimasta come intatta, coi sorrisi incollati sulle labbra, coi bicchieri o coi pasticcini in mano: e, soprattutto, con quella fede, quella speranza, quella spensierata mancanza di ogni carità“. È un accento che torna in un altro passaggio di Petrolio, nel racconto allucinato di un uomo che voleva raggiungere il potere attraverso la santità. E nella sua pianificazione uno dei punti fermi, che si era dato per raggiungere l’obiettivo, era quello di tener separate la Fede e la Speranza dalla Carità. Come lo stesso Pasolini aveva scritto qualche anno prima nella rubrica che teneva sul settimanale Il Tempo, “il potere ha bisogno dell’alibi della fede e della speranza. Non ha affatto bisogno dell’alibi della carità”. E poi continuava: “Quanti cattolici, diventando comunisti, portano con sé la fede e la speranza, e trascurano, senza neanche porsene il problema, la carità. È così che nasce il fascismo di sinistra”.
Fede e speranza senza carità generano solo clericalismo, come aveva sottolineato in un’altra occasione, scrivendo una prefazione a una raccolta di sentenze della Sacra Rota, inclusa nella raccolta di Scritti Corsari. “Vuoto di Carità e vuoto di Cultura” era il titolo che lui stesso aveva voluto per quell’intervento. Nell’Italia che aveva dato semaforo verde al divorzio, Pasolini vedeva in quelle sentenze un dispositivo un po’ ipocrita da parte della Chiesa per mettersi in competizione con le nuove regole dello Stato. Sottolineava come non ci fosse nulla di formalmente contestabile, ma ciò che lo colpiva era “l’assenza totale di ogni forma di Carità (sempre scritta maiuscola, ndr) nell’esaminare casi in cui essa sarebbe per definizione essenziale”.
Facciamo ora un passo indietro. Quel brano di Petrolio, nella lettura proposta da Sandro Lombardi, si inseriva tra brani tratti dall’articolo contro l’aborto. Ed è proprio in queste pagine e in quelle di risposta al furibondo dibattito che ne scaturì, che si trova l’esplicitazione di questa idea pasoliniana di Carità. Che non è tanto un “buon principio”, ma uno stare attaccato sempre al dato di realtà. Sentite cosa scrive il 23 gennaio 1975: “Non c’è nessuna buona ragione pratica che giustifichi la soppressione di un essere umano, sia pure nei primi stadi della sua evoluzione. Io so che in nessun altro fenomeno dell’esistenza c’è un’altrettanto furibonda, totale, essenziale volontà di vita che nel feto. La sua ansia di attuare la propria potenzialità, ripercorrendo fulmineamente la storia del genere umano, ha qualcosa di irresistibile e perciò di assoluto e gioioso”.
Pasolini osserva, ragiona, seziona le cose, e così intercetta l’impeto della vita. È il suo metodo: come aveva scritto polemicamente a Calvino, davanti a un potere e a una cultura che ci portano a “considerare la vita degli altri un nulla e il proprio cuore nient’altro che un muscolo”, lui al contrario non desiste da una convinzione: che “non bisogna aver più paura di avere un cuore”. E cos’è il cuore per Pasolini se non la porta tenuta aperta alla Carità?
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