La più grande dote che la natura ha regalato al Mezzogiorno del nostro Paese è di averlo posizionato in modo da godere di un clima peculiare, nel mezzo del Mediterraneo, con le sue propaggini più meridionali baciate dal sole. Diversità biologica, fertili massicci vulcanici e corsi d’acqua abbondanti hanno attratto per secoli invasori dal nord e dal sud, intenzionati a godere di un ambiente accogliente e confortevole.

Di questo dono abbiamo fatto un pessimo uso in tempi recenti. Finché ha dominato una cultura contadina, il rapporto con la natura è stato scambievole. La fatica fisica veniva ripagata da raccolti ricchi, più che altrove, e da prodotti di qualità superiore. La fatica dei contadini ha plasmato colline e rilevi, costruito sentieri e paesi in luoghi impervi, opere di cui la natura stessa si è avvantaggiata acquisendo nuova bellezza. La cura della terra era un valore ancestrale, fatto di lune con le sue fasi e di falò invernali per ingrassare il terreno.

Usciti da quella fase economica, il Mezzogiorno ha abbandonato le terre ed ha affrontato la modernità rinnegando quel tempo, fatto di fatica, immaginando un futuro industriale e tecnologico nel Nord e la natura al massimo è servita da quinta scenografica per i weekend prima e per i social oggi. E troppo spesso come discarica o suolo edificabile.

L’uso e l’abuso del territorio in modo dissennato ha colpito tutto il Paese ed il Mezzogiorno in particolare, sintantoché i disastri hanno raggiunto livelli intollerabili. Cementificazione selvaggia, industrie inquinanti, dissesto idrogeologico hanno reso evidente come l’opera dell’uomo invece che migliorare ha alterato in peggio l’ambiente. Se nel resto del mondo occidentale a questa fase è seguita una reazione riparatoria, ancora oggi nel Meridione fatica a nascere una consapevolezza diffusa di quanto sia necessario uno sviluppo sostenibile della società affinché il benessere non sia solo apparente, ma di lungo corso e positivo. Mentre il Nord del Paese ha avuto la reazione più forte, capendo che la natura poteva offrire un benessere fatto di economia e di piacere, il Mezzogiorno fa ancora tanta fatica.

Manca una reale consapevolezza collettiva che prendersi cura del creato non è solo uno impegno morale, ma una strategia di crescita economica e sociale di grande potenzialità. Mentre infatti intere popolazioni si oppongono alla costruzione di impianti ultra-sicuri per produrre energia o trattare in modo decente i rifiuti, permangono gli sversamenti illeciti, la refrattarietà alla raccolta differenziata, l’abusivismo edilizio non di necessità, gli sversamenti nei fiumi da parte di imprese abusive (la bonifica del fiume Sarno mai completata, ad esempio) e più in generale un uso predatorio della natura.

Delle contraddizioni che il Mezzogiorno vive questa è quella che svela con maggiore nitidezza quanto ancora la società meridionale sia stata incapace di sviluppare un riflessione collettiva e realmente condivisa su questo tema. Il perché risiede nell’incapacità di leggere con chiarezza, da parte di molta parte del Meridione, il rapporto di causa-effetto tra la salubrità e la bellezza dell’ambiente ed il benessere di ciascuno. La maggior parte della popolazione meridionale vive ancora in un clima di irresponsabilità individuale che non considera i beni comuni e collettivi come beni propri, bensì come beni di nessuno e perciò, poiché privi di un padrone, ampiamente sfruttabili senza limiti. A ciò si aggiunge una ben nota riottosità alle regole “del governo”, spesso identificato come luogo di indicibili ingiustizie a favore solo degli amici.

Eppure, seppur lentamente, qualcosa cambia. Le nuove generazioni stanno lentamente facendosi strada con una nuova etica, cresciuta in ambienti più ampi rispetto agli stretti vicoli, mischiandosi, anche grazie ai social, a visioni e coetanei che inoculano semi di riflessione diversi e lontani dalla cultura geografica di appartenenza. Non solo Greta, per intenderci, ma una generale volontà di rivivere nei propri territori “come se” si vivesse in contesti più eticamente avanzati.

Il turismo che risorge e tira più di prima è figlio di questa visone nuova, che valorizza l’ambiente e lo rende produttivo. Così come la sostenibilità è uno dei mantra delle stratup anche nel Mezzogiorno. Non basta certo, e ci vorrebbero due cose.

La prima è un intervento feroce contro chi non rispetta le regole, mandando in soffitta il lassismo “degli amici degli amici” che ha consentito di evitare i controlli e lasciare il territorio nelle mani di chi lo ha sfruttato. Ad esempio ampliando il nucleo di ispettori e controllori (nel Mezzogiorno la carenza di queste figure è drammatica) inserendo risorse giovani e formate, creando un corpo di guardia anche generazionale al tema della sostenibilità ambientale.

La seconda, applicare il Pnrr e le sue risorse sui temi della transizione energetica nel Mezzogiorno per agevolare la diffusione di una cultura nuova e consapevole del rapporto con l’ambiente e le sue potenzialità.  A partire dalle energie rinnovabili e dal funzionamento del ciclo dei rifiuti, unito alla rivoluzione dell’economia circolare, per rendere collettivo e condiviso il tema della tutela dell’ambiente e del creato come elemento di crescita economica e sociale. Per arrivare a far comprendere che non basta essere baciati dal sole per vivere bene, ma serve prendersi cura di ciò che abbiamo per stare veramente meglio.

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