Il giorno dell’Epifania l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, ha rilasciato una lunga intervista al Financial Times: non per accendere i fari sui conti del gruppo (molto soddisfacenti alla fine del 2022), ma per raccontare cosa la major italiana ha fatto e intende fare per ridisegnare le rotte del petrolio e del gas sconvolte dalla guerra russo-ucraina. Di più: Descalzi ha riproposto in visibilissima filigrana la strategia geopolitica del fondatore Enrico Mattei come strumento utile per riconsolidare l’economia europea – in netta sofferenza sul fronte energetico – e per rilanciare un dialogo virtuoso fra il nord e il sud del Mediterraneo. Fra Ue e Africa: su un mare divenuto troppo divisivo in tutte le sue dimensioni.
“Noi non abbiamo l’energia, loro ce l’hanno; noi abbiamo una piattaforma industriale che loro devono invece sviluppare”. L’affermazione-titolo di Descalzi a FT avrebbe potuto essere riportata tale quale sullo stesso giornale settant’anni fa a nome di Mattei. E il “noi” di Descalzi – Ceo di una società controllata dallo Stato italiano ma oggi partecipata da grandi investitori istituzionali – non è così diverso dall'”io” di Mattei quando volava in Egitto, Tunisia o Algeria e parlava a nome di un giovane ente pubblico dell’Italia democratica: è il pronome personale di un sistema-Paese, oggi espanso nel sistema-Europa.
Descalzi ha ricordato la buona risposta avuta da numerosi Paesi africani nei mesi critici del 2022, allorché l’Eni si è mossa per rimpiazzare 20 miliardi di metri cubi di gas naturale venuti a mancare all’Italia per la crisi geopolitica. Quindi: i 15 miliardi di metri cubi che verranno assicurati dall’Algeria nel 2023 (18 miliardi l’anno prossimo); i 3 miliardi acquisiti dall’Egitto con destinazione Ue; la fornitura negoziata con il Congo (1 miliardo subito, 4 miliardi entro il 2025). Ma soprattutto la prima nave gasiera salpata dal Mozambico in novembre, nell’ambito di un mega-progetto multinazionale. E senza dimenticare l’attività di ricerca, nel gas come nel petrolio: esemplare il rapido sviluppo di un giacimento al largo della Costa d’Avorio.
Tutti questo risultati sono – ancora una volta – innestati del Mattei-pensiero che Descalzi sintetizza così: “Eni ha sempre investito molto in Africa quando altri non lo facevano. E non abbiamo mai privilegiato l’import verso l’Europa sullo sviluppo dei mercati locali. Metà degli 1,4 miliardi di africani non ha ancora accesso all’energia elettrica: ci sono ampi margini di espansione per la produzione e il consumo di energia”. Non solo da carburanti fossili: in Kenya Eni ha avviato un impianto per processare oli vegetali e biomasse, e sono iniziati i primi trasporti verso le bioraffinerie europee. Ma tutti i Paesi africani produttori di gas e petrolio “stanno generando flussi di cassa adeguati, utili anche ad avviare specifici percorsi di transizione energetica”.
L'”asse nord-sud” è in (ri)costruzione attorno alla logica di avvicinare l’Africa all’Europa, di (ri)condividere percorsi di crescita. Parola di Mattei: che creò l’Eni dopo aver combattuto una guerra mondiale dalla parte giusta.
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