Dopo il 2022 segnato dai centenari di don Giussani e Pasolini, il 2023 è la volta di Giovanni Testori: un nesso temporale che lega tre personalità la cui coscienza sulla vita e sul nostro tempo presenta tanti punti di convergenza, a volta anche inattesi. Personalità connesse in un’imprevista compagnia, più profonda delle tante differenze delle rispettive biografie. Proprio una frase di Testori, pronunciata nella conclusione delle sue Conversazioni con Luca Doninelli, aiuta a cogliere il filo rosso che univa quelle tre personalità: “basta amare la realtà, sempre, in tutti i modi”. E poi aggiungeva, “anche nel modo precipitoso che è stato il mio”.

Il 2023 è dunque l’anno di Testori che si apre con un’altra coincidenza interessante: il 16 gennaio 1973, cioè 50 anni fa, si alzava il sipario del Teatro Franco Parenti, allora Salone Pier Lombardo, che Testori stesso aveva fondato in compagnia (o meglio in cooperativa) con Parenti, Andrée Ruth Shammah e Dante Isella. Era una situazione curiosa che metteva insieme un cattolico, Testori, un grande attore comunista, Parenti, una giovanissima regista ebrea, Shammah, e un grande filologo, laico e illuminista, Isella. Il teatro nasceva in quello che i giornali avevano ribattezzato uno scatolone di periferia, perché stava al di là delle mura spagnole. Un teatro aperto alla città e alle sue inquietudini che si contrapponeva alla ritualità un po’ borghese che caratterizzava la maggiore istituzione teatrale milanese, il Piccolo. Testori aveva ribattezzato la compagnia che allora iniziava l’avventura Compagnia degli scarozzanti, cioè sempre in movimento, contro l’idea del teatro stabile incarnato dal Piccolo. Oggi quel teatro è certamente tra le realtà più vive e più belle di Milano, a conferma della bontà di quell’intuizione e di quell’inizio.

Questa coincidenza mette in luce una caratteristica del Testori intellettuale: non si concepiva mai in solitaria, per quanto le sue opere fossero sempre radicalmente personali. Si metteva in squadra, senza rinnegare nulla di se stesso, per costruire avventure culturali come sarebbe accaduto anni dopo con la Compagnia degli Incamminati (il concetto è sempre quello: movimento…) con Franco Branciaroli, Emanuele Banterle ed altri giovani amici. Testori era un po’ il capo banda, che costringeva sempre a mettersi in gioco, a non aver paura dell’eventuale scandalo. Detto in termini più semplici, era un intellettuale che metteva sempre tutti al lavoro per costruire realtà o sodalizi nuovi, capaci non tanto di “fare cultura” ma di testimoniare una posizione umana attraverso quello strumento semplice e immenso che è la parola. Per tanti quell’incitamento di Testori è stato un fatto decisivo per la vita.

Testori ha messo al lavoro anche chi, raccogliendo la sua eredità, ha trasformato la sua casa di Novate in un hub culturale di studi e di creatività giovanile in terra di periferia. A proposito di lavoro, era una lavoratrice, addetta in un calzificio di Niguarda, Maria Brasca, la straordinaria protagonista di un’opera teatrale di Testori che verrà riproposta come primo appuntamento di questo centenario. Nel 1960 era stata interpretata da Franca Valeri. Ora ritorna al Teatro Franco Parenti con una giovane attrice come protagonista, Marina Rocco, per la regia di Andrée Shammah.

Maria Brasca è personaggio meraviglioso, di una vitalità “tigresca” come ha detto di lei Gad Lerner nell’introduzione al libro da poco ripubblicato. Una donna capace di far girare la storia e di portarla là dove lei vuole, addomesticando un amante intemperante più giovane di lei (24 anni contro 27). Alla fine il suo trionfo, ottenuto con spregiudicatezza e spavalderia, è quello di metter su famiglia con la persona desiderata. In Maria Brasca la vita straborda e vince, proprio come straborda in ogni pagina di Testori.

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