È una bella notizia che stiano per uscire un libro e un film sulla figura del capitano di corvetta Salvatore Todaro, eroe di guerra e di umanità. Sconosciuto ai più, ma assolutamente da conoscere. Il film, in fase di post-produzione, si intitola Il comandante. Protagonista Pierfrancesco Favino, regista Edoardo De Angelis, che ne è anche lo sceneggiatore insieme al due volte Premio Strega Sandro Veronesi. Quest’ultimo, con processo inverso alla consuetudine, ha cavato dalla sceneggiatura un romanzo, stesso titolo, che esce dopodomani 25 gennaio, editore Bompiani.
Salvatore Todaro è eroe di guerra – e di umanità – del fascismo. Nacque ad Agrigento nel 1908, lo stesso anno di Giovannino Guareschi (che come indole un po’ gli somiglia), di Cesare Pavese (che non gli somiglia affatto), di tanti altri che lasciamo perdere, e di Tagashi Nagai, miracolo di santità nell’esplosione atomica sul Giappone. Todaro muore prima di tutti questi, nel 1942.
La sua figura testimonia e insegna tante cose. La sua breve vita è tutta al servizio della Regia Marina italiana sotto l’alto comando del regime fascista. Tranne una breve parentesi in cui è impegnato in aeronautica, durante il quale un incidente aereo gli provoca lesioni alla spina dorsale che lo costringeranno a portare il busto e a sopportare dolori per il resto dell’esistenza. Il fatto saliente accade il 16 ottobre 1940, in Oceano Atlantico, al largo dell’isola di Madera, dove il sommergibile “Cappellini” era impegnato, al comando di Todaro, in una missione che consisteva nel blocco delle rotte marittime di Stati Uniti e Gran Bretagna, in appoggio ai tedeschi, durante la Battaglia dell’Atlantico.
Quella notte Todaro avvistò un piroscafo belga nemico, il Kabalo, che trasportava parti di aerei e operava sotto il comando britannico e lo affondò a cannonate. E si preoccupò di trarre in salvo i 26 naufraghi dell’equipaggio nemico. Prima rimorchiando la scialuppa (e quindi navigando pericolosamente in superficie); poi, quando la scialuppa cedette, caricandoli addirittura a bordo e portandoli sani e salvi in una baia di un’isola delle Azzorre. Dopo di che il comandante Todaro continuò a compiere le missioni cui era destinato, ottenendo di essere assegnato alla famosa X Mas. Morì nel 1942, sul ponte della “Cefalo”, colpito alla tempia da una scheggia provocata dal mitragliamento di un caccia inglese. Lascia la moglie, sposata nel 1933, e due figli. E una bella collezione di medaglie al valore.
Ma torniamo al 1940.
Dopo lo sbarco dei naufraghi, Todaro si sentì chiedere dal secondo ufficiale del Kabalo: “Ma lei, che tratta così un nemico, che razza di uomo è? Vede, se quando ci ha attaccati di sorpresa non avessi dormito nella mia cabina, le avrei sparato addosso con il cannone, scusi la mia franchezza”. “Sono un uomo di mare come lei – gli rispose Todaro – e sono convinto che al mio posto lei avrebbe fatto come me”. “Mi dica almeno il suo nome”, replicò quello. “Salvatore Bruno”, omettendo il cognome e portandosi la mano alla visiera in segno di saluto prima di andarsene. Ma vedendo il belga indugiare, gli fece: “Ha dimenticato qualcosa?”. “Sì – gli rispose l’altro con le lacrime agli occhi –. Ho dimenticato di dirle che ho quattro bambini: se non vuole dirmi il suo nome per mia soddisfazione personale, accetti di dirmelo perché i miei bambini la possano ricordare nelle loro preghiere”. E Todaro: “Dica ai suoi bambini di ricordare nelle loro preghiere Salvatore Todaro”.
Il comportamento di Todaro fece imbufalire il comandante in capo dei sommergibilisti tedeschi, l’ammiraglio Karl Dönitz. “Neppure il buon samaritano della parabola evangelica – sbottò – avrebbe fatto una cosa del genere”. “Signori – disse rivolgendosi ai colleghi italiani – questa è una guerra e non una crociata missionaria. Il Signor Todaro è un bravo comandante, ma non può fare il don Chisciotte del mare”. Un comandante tedesco non lo avrebbe mai fatto. “Ma loro non hanno, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle”, fu la replica di Todaro. Anche dal mito fascista della grandezza di Roma, seppe trarre il portato di valori umanistici, classici e cristiani.
Non ci sarebbe neanche tanto da commentare. Però, ad abundantiam, si può forse sottolineare, telegraficamente, qualcosa per l’oggi.
1. C’è in ogni uomo un dato originario di umanità, di senso del giusto e del buono, che si può non vendere o non cedere al potere. C’è qualcosa cui obbedire più che al potere, e in questo sta la dignità umana e l’uso della libertà. Eroico, ma non necessariamente eroico.
2. È una falsificazione sia storiografica che teoretica la definizione del fascismo come “male assoluto”. Molta storiografia del dopoguerra, di matrice comunista e azionista, è stata prodotta e divulgata, anche e soprattutto nella manualistica scolastica, con questo preconcetto ideologico.
3. Ciò non è successo a caso: era funzionale ad accreditare il comunismo, originariamente non democratico, ma – dopo il patto Stalin-Ribbentrop – in quanto posizionato sull’antifascismo, come giudice arbitro del riconoscimento o meno della democraticità delle altre forze politiche.
4. Il post-comunismo ha accolto senza soverchi traumi il liberismo economico e i nuovi diritti individuali, oltre all’opportunità storica di stare al governo, con i democristiani di sinistra, per decenni, non sempre con il voto popolare. Ma ha sempre avuto bisogno di identificare un male assoluto come nemico a priori. Con le opportune varianti, un po’ debenedettiane un po’ giustizialiste, il sistema è stato utilizzato contro Berlusconi. Che gli rese la pariglia definendoli comunisti. E così abbiamo perso anni in un vuoto bipolarismo di guerra.
5. I post-fascisti intanto si sono posizionati contro il fascismo “male assoluto”. Lo ha fatto Fini (2003, Gerusalemme), forse esageratamente affascinato dal nuovismo; Meloni non lo ha mai smentito (figurarsi), e ha più sapientemente orientato il volo verso orizzonti liberal-conservatori.
6. È finita l’epoca del male assoluto. Il Pd ha sparato su un uccello (o due) che però non è stato fermo. “La realtà è un uccello che non ha memoria devi immaginare da che parte va”, cantava Gaber. Non è come dirlo. Perché: “Siamo sempre indietro, la realtà è più avanti”.
Al governo o all’opposizione, non possiamo che augurarci forze politiche che facciano i conti con la realtà, non con un (falso) nemico assoluto di comodo. E, possibilmente, con uomini che abbiano almeno un po’ del cuore e della dignità del comandante Todaro.
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