A margine della quindicesima COP-15 delle Nazioni Unite, dedicata alla biodiversità e tenutasi a Montréal ai primi dello scorso dicembre, il segretario dell’Onu, Antonio Guterres, aveva dichiarato: “Stiamo perdendo un milione di specie e la guerra dell’umanità contro la natura è in definitiva una guerra contro noi stessi”.

Un paio di settimane dopo, il 21 dicembre, in Italia è stato approvato un emendamento passato alle cronache come “caccia ai cinghiali nei parchi e in città”, alla fine di un’estenuante seduta notturna senza discussione e senza esser stato inserito nell’ordine del giorno. Per quanto incredibile sia, come hanno già osservato in tanti, l’emendamento apre alla possibilità di abbattimenti di fauna selvatica nei centri abitati. Da notare che procedure e prassi legali e attuabili sono già ben diffuse sul territorio nazionale per quanto riguarda il controllo delle specie selvatiche nei parchi.

Il 24 dicembre, poi, è stato approvato un ordine del giorno sulla legge di Bilancio del Governo italiano che impegna l’esecutivo “ad adottare iniziative affinché il lupo sia declassato da specie «protetta prioritaria» a specie «protetta», nella direzione di un ‘Piano Nazionale di Gestione del Lupo’ che tuteli la specie, ma anche i comparti agrosilvopastorali”.

Sul tema esistono proposte di leggi regionali quali la 12/22 delle Marche, per l’abbattimento del lupo, che sono non accettabili dal punto di vista ecologico generale. La specie lupo infatti andrebbe conservata e gestita. La Direttiva Habitat non preclude in sé un controllo locale e puntuale della specie, ma solo se le azioni non contrastano con la sua conservazione e siano adeguatamente valutate e documentate in condizioni rigorosamente controllate, su base selettiva e in misura limitata.

Un aspetto importante del problema è legato, oltre alla malagestione dei rifiuti urbani, alla carenza di agenti di polizia venatoria delle Provincie (guardiacaccia), che non vengono più assunti in numero adeguato. Sono queste le figure professionali chiamate ad agire primariamente e capillarmente per il controllo delle specie animali dannose e invasive e sulle immissioni illegali di animali da parte dei cacciatori.

La caccia è un’attività legale e, in alcuni casi, anche necessaria per motivi ecologici, cioè per contenere specie di grande successo come gli ungulati (cinghiali e cervi). Invece, nei casi in cui si cacciano specie a rischio, la caccia è da sospendere. Sta alla politica avveduta usare un giusto equilibrio.

Siamo cresciuti in una cultura falsamente antropocentrica perché porta in sé una certa concezione di persona come distruttrice della natura anziché sua custode. Ma è venuto il momento di passare a una cultura (anche basata scientificamente) che difenda la biodiversità. Questo significa innanzitutto difesa di ogni singolo essere umano e di tutta l’umanità. Ma significa anche sapere riconoscere quali sono le specie invasive che inquinano la biodiversità (quasi sempre per errore dell’uomo, vedi le nutrie) ed eliminarle o non supportarle.

Il lupo permane nella nostra memoria ancestrale come simbolo delle paure davanti all’ignoto, ciò che non possiamo controllare. Siamo ancora abituati a dire che “il lupo perde il pelo ma non il vizio” quando ci riferiamo a un poco di buono, ma allo stesso tempo eravamo abituati a definire “lupo di mare” l’uomo anziano, saggio e conoscitore della vita.

Se è vero, come ha monitorato una indagine di Ispra su mandato del ministero della Transizione ecologica, che la popolazione di lupi in Italia è in aumento (3.300 animali in tutta la nostra penisola), i dati permettono di accertare l’impatto che questa popolazione di predatori ha sul patrimonio zootecnico italiano: in 5 anni di studio, leggiamo, “a seguito dei 17.989 eventi di predazione totali, sono stati registrati come predati un totale di 43.714 capi di bestiame, per una media di circa 8.742 capi ogni anno”. Calcolando la popolazione di bovini in Italia a circa sei milioni di capi e quella degli ovini a otto milioni, si capirà che l’impatto dei lupi è nell’ordine dei millesimi della popolazione esistente, quindi un danno per gli allevatori praticamente inconsistente.

La coesistenza uomo-lupo, e non solo, può essere armonizzata attraverso l’attuazione di diversi sistemi per prevenire i danni: recinzioni elettriche, dissuasori acustici, cani da guardia e rimborsi adeguati a chi subisce dei danni.

Perché quindi tutto questo accanimento? Chi ha paura del lupo? Gli occhi ferini, i canini sguainati, il muso lungo e appuntito fanno di colui che è stato chiamato “il grande predatore” un emblema riconosciuto della natura selvaggia e primordiale. Nel saggio “L’uomo e i suoi simboli”, lo psichiatra Carl Gustav Jung accomuna il lupo ai grandi archetipi come l’orso, la lepre, l’aquila, tutti animali oggetto di caccia e sterminio da quando l’essere umano ha invaso i territori di madre natura.

Non si può non rimanere stupiti da quello strano segno del Mistero che sono gli animali, non per niente così cari ai bambini e ai poeti. Soprattutto da animali come i lupi, caratterizzati da una vita sociale così complessa, una spiccata propensione a imparare e adattarsi, un’indomita resistenza alle difficoltà, soprattutto alle campagne di sterminio secolari dell’uomo.

“Soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere quelli della generazione futura” è quanto chiede l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. I 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile definiscono un nuovo modello di società, secondo criteri di maggior responsabilità in termini sociali, ambientali ed economici, finalizzati ad evitare il collasso dell’ecosistema terrestre. Anche il rispetto e la gestione intelligente degli animali rientra in questo lavoro.

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