A Sanremo c’è Zelensky, qualcuno parlerà del Congo?

Zelensky sarà a Sanremo. Un palco improprio per la sua causa: vincerà lo show. E se qualcuno si ricordasse dei 6 milioni di morti nel Congo?

Ossignur. Addirittura i titoli di apertura di non poche prime pagine. Per una notizia (notizia?) come questa: Carlo Freccero, Fabio Volo, Vauro, Di Battista, Maurizio Gasparri, Beppe Grillo, Matteo Salvini, Carlo Calenda e altri sono contrari al video-collegamento con Zelensky al Festival di Sanremo 2023. Bisogna ammettere che detta così è un po’ moscia, e vale una breve. Ma se la metti così: “Zelensky a Sanremo, è scontro”… eh? È o non è tutta un’altra roba?

Servitore del popolo

In realtà il presidente ucraino e il principale palcoscenico mediatico italiano sembrano fatti l’uno per l’altro. “Servitore del popolo” è il titolo della fiction in cui Zelensky interpretava un insegnante impegnato contro la corruzione e inaspettatamente eletto presidente dell’Ucraina. Servitore del popolo è anche il nome del partito con cui realmente Zelensky, sull’onda della popolarità acquisita, diviene capo dello Stato. Ora che è da quasi un anno in guerra contro l’aggressore russo, è per lui di fondamentale importanza tener viva la comunicazione nei confronti delle opinioni pubbliche del mondo occidentale euro-atlantico. Infatti ha avuto le copertine dei magazine più prestigiosi, e si è reso presente in collegamento a eventi di rilevanza mediatica come i Grammy, il Golden Globe, la Croisette, la Mostra del cinema di Venezia.

Per Putin l’opinione pubblica conta come il due a briscola, e comunque la tiene rigorosamente sotto controllo e disinformata. Grazie a Dio, nelle democrazie liberali, con tutti i loro difetti e le loro magagne, non è così. Da noi il rischio è un altro: l’assuefazione, e quindi la dimenticanza. Oppure discutiamo sul numero dei carri armati, non avendo né cercando contezza sul numero (sicuramente enorme) dei morti ammazzati. Non solo civili, ma anche giovani soldati (di entrambi i fronti), che sono pur sempre esseri umani, oltre che il futuro prossimo della nazione.

Popolo servitore

Sono almeno trent’anni che il festival traslocato dal Casinò all’Ariston non si propone più come una classica gara canora, ma come un evento, termine assai in voga che vuol dire tutto e vuol dire niente; insomma uno spettacolo contenitore e vetrina di tante presenze, proposte, messe in scena, suggestioni e anche provocazioni, di carattere sociale, culturale e politico, e non solo musicale. Provocazioni, naturalmente, sempre nella direzione del mainstream, idee, scelte etiche, comportamenti “di tendenza”. In funzione dell’audience. Dal premio Nobel Mikhail Gorbaciov (con Fazio, 1999) all’allora leader pentastellato Grillo che si fa riprendere in platea come spettatore pagante (sempre con Fazio, 2014. L’anno prima aveva sparato sul presentatore perché aveva un cachet troppo alto). In mezzo, tutte blu e finti tentati suicidi di disoccupati con Baudo, nastrini arcobaleno pro Lgbt e ddl Cirinnà (con Carlo Conti, 2016).

Sanremo è così. Costruito da decenni di Rai, di pippibaudi, politici, giornalisti, in concorso con la società italiana tutta quanta, spappolata già dalla mutazione antropologica del nuovo potere di pasoliniana memoria, con la sua evoluzione. Un blob, come e più degli altri prodotti mediatici, dove i temi si accostano, si affastellano, si mescolano: la musica, le canzoni, le gag, gli appelli, la disoccupazione, Tyson e le dichiarazioni contro la violenza alle donne, la guerra (quella mediaticamente attrattiva e solo quella) e la farfallina tatuata sull’inguine esibito di Belen. Ci raggiunge la realtà passata nel tritacarne mediatico. Rischio di banalizzazione? Altroché. Di omologazione? Certamente. Di prendere posizione pro o contro a naso, o a cavolo, pur di autoconvincersi di avere un’opinione, anzi di saperla lunga? Sì, accidenti.

Ecco il vero guaio: se non stiamo attenti (e di solito non siamo attenti), il perimetro del campo di gioco, l’orizzonte del nostro sguardo, è dato da chi ha il potere mediatico. Al massimo reagiamo: ma essere reattivi è pur sempre una subalternità a chi detta le regole del gioco. Così i “contestatori” di Zelensky a Sanremo (posizione di per sé legittima, intendiamoci) giovano a se stessi perché così guadagnano un po’ di spazio sui media e sui social; assai meno, ahimè, alla causa reale della pace. E giovano pure a Sanremo perché non c’è niente di meglio di una polemica (anche artificiosa, una polemica purchessia) per far parlare di sé. Per questo Sanremo, da anni, vince.

Dubbi, domande, preghiere

Tocca un po’ anche a noi, popolo dei divani e dei grandi-fratelli, degli isola-dei-famosi e degli amici-di-Maria, dei talent show e dei talk show, e dei dieci milioni di Sanremo-spettatori, dieci come i milioni di una finale di coppa del mondo (quando c’era l’Italia…), tocca un po’ anche a noi darci una sveglia, lasciarci prendere non dalle comode polemiche altrui, ma dal faticoso, nostro desiderio del vero. Perciò anche dai dubbi, e dalle domande.

Le domande che sono preghiere per la pace rivolte al Padreterno. Le domande che sono preghiere rivolte ai governanti occidentali perché ce la mettano tutta per ottenere negoziati. Domande, e dubbi, invece di rassicuranti false certezze da ultrà dell’atlantismo in armi o da pacifisti a qualsiasi costo, nell’uno e nell’altro caso a prezzo della vita… degli altri.

Domande e dubbi come quelli di chi la guerra la subisce davvero. Come quelli formulati dall’arcivescovo maggiore di Kiev Sviatoslav Sevchuk in visita in Vaticano: “La guerra è sempre una sconfitta dell’umanità, un orrore, e deve essere condannata in se stessa. Ma quando ho visto le fosse comuni, i cadaveri delle donne e dei giovani, ho pensato alla dottrina cattolica che avevo insegnato e mi sono chiesto: cosa possiamo fare adesso per fermare l’aggressore? Come possiamo proteggere la vita? Come possiamo fermare i carri armati russi senza usare le armi? È una domanda aperta e se voi lo sapete, vi saremmo grati della risposta».

Intanto, per esempio, Francesco in Congo

Domani papa Francesco raggiunge la Repubblica democratica del Congo. Attesissimo dagli abitanti poverissimi di un territorio ricchissimo di minerali preziosi e strategici, su cui prosperano interessi americani, cinesi, europei (specie francesi), africani, e un centinaio di gruppi armati. Ci sono in quantità oro e diamanti, che è sempre un bell’averli. C’è uranio. Ci sono i minerali fondamentali per l’elettricità (rame), l’elettronica (coltan), le batterie (cobalto). Insomma, l’occorrente per la “transizione ecologica”.

Qui la guerra dura da trent’anni e, finora, ha causato sei milioni di morti, dieci volte il numero dei caduti italiani nella prima guerra mondiale. Quotidiane violenze, vessazioni, stupri a non finire. E lavoro minorile al limite della schiavitù.

Su questo nessuno si accapiglia. Massì, perché scaldarsi? Non è mica roba da Sanremo.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI

Ti potrebbe interessare anche

Ultime notizie

Ben Tornato!

Accedi al tuo account

Create New Account!

Fill the forms bellow to register

Recupera la tua password

Inserisci il tuo nome utente o indirizzo email per reimpostare la password.