Alla faccia di chi dice che il Cielo è muto. Che ad Iddio non gliene importa granché di che cosa accade quaggiù sulla terra. Alla faccia di chi sostiene che quello cristiano è un Dio leggermente distratto su quanto accade quaggiù: “Questi è il mio Figlio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento“. Il Figliolo ha compiuto trent’anni da poco e, dopo aver abbassato le serrande della bottega del padre, decide di mettersi in proprio. L’ora sta per giungere, l’acqua sta per salire al collo, la missione sta per avere inizio, dopo un bello stage d’umanità ch’è durato trent’anni in quel di Nazareth.
E quando inizia, Lui ch’è Figlio di Papà (letteralmente) non gli riesce d’iniziare se non nel modo più sobrio possibile: infilandosi, come fosse uno di loro, nella fila dei peccatori che stanno andando a farsi sciacquare la testa dal Battista. Che, quando se lo vede apparir dinanzi, mostra d’avere perturbazioni nel cuore: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te: tu vieni da me?” gli viene spontaneo chiedergli, appena ne riconosce le sembianze.
Ha ragione: da che mondo e mondo, è il più piccolo ad avere bisogno del più grande, è del servo scomodarsi all’arrivo del suo padrone, è la scopa a doversi fare prendere in mano. Invece no, stavolta proprio no: “Lascia fare, per ora: perché conviene che adempiamo ogni giustizia” gli risponde quel Santo di suo cugino Gesù.
Nessuna preferenza: nessuno dev’essere generale prima di avere prestato servizio nei ranghi, nessuno dev’essere padrone prima di essersi spogliato di ogni padronanza. Per questo volle guadagnarsi lealmente, senza alcun aiuto straordinario o fraudolento, gli speroni di cavaliere del Grande Re: altrimenti la battaglia combattuta tra gli uomini sarebbe parsa sleale e scorretta. Voleva, insomma, che tutti vedessero il Padre suo all’opera da come Lui si muoveva, si esprimeva, da come si comportava sgomitando tra gli umani.
E per fare questo, aveva pensato che l’unico modo per incontrare gli umani e portarli a diventare suoi soci d’azienda era quello di essere come loro in tutto, eccetto il peccato. Non voleva una tribù di schiavi al seguito ma una scuderia di amici: per questo, sin dagli inizi, fu discreto come chi bussa, al contrario di Satàn che sa soltanto raschiare la porta.
Così facendo, senza volere forzare la libertà di nessuno, sparse voce – di mezzo a quella gentaglia – che siamo tutti frutto di un pensiero di Dio: amati, voluti, necessari. Disse, con il solo comportamento, che il suo cristianesimo si poteva già notare, che era tutto lì, in quell’infilarsi tra i peccatori: “Il cristianesimo non è una cosa accademica, è una cosa semplice: Dio c’è, ed è vicino a noi nella figura di Gesù” (J. Ratzinger). Cristoddìo non era solamente un uomo povero: era un uomo ricco diventato povero, il potente che ubbidisce.
Per questo il Padre suo, il padrenostro, sentì vibrargli l’orgoglio nel petto. E lo disse al mondo intero, facendo prendere spavento al Giordano stesso, visto che mai prima di allora il Cielo aveva preso la parola: “Questi è il mio figlio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento” (cfr Mt 3,13-17). In poche parole disse tutto l’augurabile inimmaginabile: ch’era suo Figlio, ch’era orgogliosissimo di come aveva iniziato a comportarsi e che – cosa ancora più bella – il Figlio, comportandosi proprio così, era la fierezza di Papà.
Lo disse all’improvviso, spontaneamente: per questo ebbe ancor più valore, visto che è molto più bello quando gli altri scoprono le nostre qualità buone senza il nostro aiuto, senza che glielo chiediamo. Da allora il mondo intero seppe che l’orgoglio del Padre era l’umiltà del Figlio: il fatto che gli avesse dato in dote le ali ma che il Figlio avesse scelto di camminare, per non fare sentire a disagio i vicini di casa che siamo noi. Fu così che iniziò l’avventura del Maestro di Galilea: senza trombe né fanfare, senza scoop o anticipazioni, senza nulla di tutto ciò che ci si sarebbe aspettati da uno come lui, ch’era nato con la camicia.
Esordì in maniera strana: nessun comando, nessuna voglia di dominare. Il mondo faticherà a riconoscerlo: non è mai facile da riconoscere un Dio siffatto.
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