Oggi è ripresa la scuola. Gennaio è un mese difficile e delicato, specie per i ragazzi di terza media: devono decidere tecnicamente che scuola fare dopo, sostanzialmente il loro futuro. Ma c’è molto dis-orientamento. E tanto, perché fra cinque anni, se le cose andassero avanti come sono ora, quasi la metà di questi ragazzi si dichiareranno pentiti della scelta fatta, convinti di aver sbagliato strada. Più di uno su dieci (il 12,7%) avrà intanto mollato gli studi prima di finirli. E allora sarà difficile che si sia riusciti ad abbassare l’inquietante livello di Neet (orrido acronimo English che abbiamo imparato a tradurre in giovani tra i 18 e i 34 anni che tirano a campare non facendo nulla, né studio, né formazione, né lavoro), che è oggi quasi del 25%, vale a dire un giovane su quattro, leggermente meno peggio soltanto di quanto accade ai coetanei turchi, rumeni e macedoni.
Una bussola nel labirinto
La decisione dei ragazzi è influenzata principalmente dalla famiglia (soprattutto nella scelta per le professionali, 29%), molto meno dagli insegnanti (10-16%). L’influenza della famiglia risulta, dalla maggior parte delle analisi effettuate, spesso impropria, non supportata da giusti criteri e adeguate conoscenze. Vero è che non è facile orientarsi nel panorama dell’offerta scolastica dopo la scuola dell’obbligo. Licei, se vuoi andare all’università (ah, saperlo a 14 anni!), istituti tecnici se vuoi tenerti aperte le due strade, università e lavoro; professionali se decisamente scegli lavoro. Già questo non è facilissimo per l’obiettiva precocità della scelta. Poi va detto che i tipi di liceo sono sei più qualche variante, gli istituti due di ordine economico e nove di ordine tecnico, le professionali contano 11 indirizzi. Totale 28. Più sottospecializzazioni. E già questo indica la necessità di favorire la conoscenza e le informazioni per supportare scelte non penalizzanti.
Povertà economica, povertà educativa
Ma soprattutto la scelta dell’indirizzo di studi post terza media risulta fortemente determinata dalla condizione economica. Di sicuro la povertà economica è spesso concausa della povertà educativa. Con gli esempi si potrebbe riempire una guida del telefono. Nicola ha 16 anni, famiglia monoreddito, entrano in casa 1300 euro al mese, metà per il mutuo, fate voi i conti. Genitori sprovvedutissimi, meridionali saliti al Nord con scuola dell’obbligo, come se non l’avessero fatta. Nicola frequentava una scuola professionale, meccanica ramo carrozziere. Bocciato al primo anno, roba da Guinness. Quest’anni sarebbe stato l’ultimo, ma lui ha abbandonato. Ha deciso di lavorare. Se per non studiare o per aiutare la famiglia, va a saperlo: forse per tutt’e due le cose. Lavora (probabilmente in nero) come ragazzo di fatica di un muratore, pochi euro al giorno, alla sera stremato e… con quale prospettiva? Il destino da paria appare segnato. Katia, 18 anni, le professionali le ha finite: pasticceria. Una competenza non male. A saperla spendere. La mamma è sola e senza lavoro. Il papà non c’è da una vita, chissà se in comunità protetta o in galera. La patente, non ci sono i soldi, e non tutte le pasticcerie sono nel paese e sotto casa. Chi la orienta ora?
Tutto ciò riguarda la scuola, ma non solo. Interpella molti attori.
L’io e la sua autostima
Per quanto riguarda l’azione della scuola, il ministro Valditara ha appena emanato, il 23 dicembre, le linee guida per l’orientamento, che gli esperti non faziosi giudicano positivamente. In soldoni: 30 ore annuali dedicate, una piattaforma digitale con tutti i dati e le info utili aggiornate, una figura professionale in ogni scuola che coordini le iniziative in rapporto al mercato del lavoro. Con una premessa culturalmente rilevante: aiutare la fiducia e l’autostima nei ragazzi. L’esperienza di Portofranco, centri di aiuto allo studio presenti dal Nord al Sud, lo conferma puntualmente; l’autostima ti rimette in moto, e l’autostima ti viene se incontri qualcuno che ti riconosce come valore e ti dà fiducia (ben raccontato nel libro di Davide Perillo, Fuochi accesi).
C’è un io, con la sua libertà, da cui non si può prescindere. In un mondo di cambiamenti accelerati come mai in passato, dove fra 25 anni metà dei mestieri attuali non esisteranno più, vorrei vedere chi riesce a prevedere ed azzeccare – ora – la preparazione tecnica specifica per l’avvenire.
Ma non è solo il mondo che cambia. È in fase di formazione e di cambiamento il ragazzo di quell’età: decisivo è cogliere la possibile dinamica della sua autorealizzazione, non fermarsi all’istantanea statica delle sue performance attuali. Un io aiutato a crescere nella stima di sé, nello stupore positivo per la realtà, nel gusto della conoscenza, nel piacere del lavoro ben fatto, questa è la prima cosa.
Accompagnamento e correzioni in corsa
Per perseguirla occorrono un’adeguata lettura del bisogno e un costante accompagnamento nel percorso, anche suggerendo correzioni di rotta. Inevitabili e sagge. Perché, fateci caso: provate a tenere ben diritto e rigidamente fisso il volante dell’auto o il manubrio della bicicletta: finirete fuori strada. La correzione in corso d’opera è l’unica. La comprensione dei bisogni avviene in una condivisione, e l’accompagnamento avviene in una volontà di condivisione dell’orientamento, cioè del senso della vita. Se no si fa solo “smistamento”, anche verso binari morti.
Veramente non c’è da desistere un momento dalla costruzione di un’alleanza educativa in cui gli attori (insegnanti, famiglie, studenti) accettino di mettersi in gioco come persone e in cui le realtà sociali implicate (servizi per il lavoro, servizi sociali, imprese, terzo settore) si mettano (sussidiariemente) in rete.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI