Come si è ripetutamente dimostrato anche dalle colonne di questo giornale, la recente pandemia di Sars-CoV-2 ha indicato con chiarezza le difficoltà che i politici e i media manifestano quando si tratta di parlare e discutere di dati sanitari, e lo stesso si sta ripetendo con la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef). Lungi da me la pretesa di dar lezioni di aritmetica a chicchessia, ma leggendo i commenti avanzati dalla quasi totalità degli intervenuti a proposito della Naedf e delle previsioni di quanto sarà il Fondo Sanitario nazionale (o la spesa sanitaria) si può giungere a una sola, ma sconfortante, conclusione: politici e media hanno bisogno di tornare alle elementari (intese come scuole) per aggiornarsi con un corso base di aritmetica. Non cose difficili, bastano le quattro operazioni, ma anche solo due (moltiplicazione e divisione) applicate al concetto di “frazione”.

Il “casus belli” è presto detto. Nelle proiezioni del Governo si prevede per la sanità una spesa di 132,946 miliardi di euro nel 2024, pari al 6,2% del Pil, che sarà di 136,701 miliardi nel 2025 pari al 6,2% del Pil e che nel 2026 diventerà di 138,972 miliardi pari al 6,1% del Pil: quindi? Tutti a stracciarsi i capelli e a dire (ma ce ne fosse uno che dicesse il contrario!) che si va verso il definanziamento della sanità perché si passa dal 6,2% del Pil al 6,1%. Oh, perbacco! (mi sono detto).

Ora, a prescindere dalla correttezza delle stime proposte e da qualsiasi valutazione sulla adeguatezza o meno del finanziamento previsto per la sanità, basta prendere la matita per fare qualche verifica e poiché (come diceva una bellissima pubblicità di alcuni anni fa “per dipingere una parete grande ci vuole un pennello grande”) le cifre in gioco sono molto grandi occorre anche dotarsi di un supercomputer all’ultimo grido carrozzato con migliaia di gigabytes di memoria e un’enorme potenza di calcolo: cioè carta e penna, appunto.

Se la spesa sanitaria del 2024 (che come detto è di 132,946 miliardi) è il 6,2% del Pil, allora il Pil del 2024 varrà 2.144,3 miliardi di euro. Analogamente (stessa metodologia di calcolo: divisione e moltiplicazione; stesso hardware: carta e penna; e stesso software: istruzione elementare) varrà 2.204,9 miliardi nel 2025 e 2.278,2 miliardi nel 2026. Come si vede, senza essere fini matematici o economisti sanitari, c’è un aumento evidente della previsione di spesa e un aumento altrettanto evidente del Pil. E allora?

Allora adesso viene il difficile. Di quanto è in percentuale la previsione della variazione di spesa sanitaria nei prossimi anni? Considerata la difficoltà del calcolo, per i lettori meno attrezzati (politici e media, appunto) fornisco (grazie sempre al supercomputer che ho usato) i risultati: +2,82% nel 2025 e +1,66% nel 2026. Oh, doppio perbacco: ma allora la spesa, anche con questa metodologia, è prevista in aumento, non in diminuzione. E come si spiega però la diminuita percentuale rispetto al Pil (da 6,2% a 6,1%)?

Sempre grazie al precedente hardware e al sofisticatissimo software di cui è dotato se facciamo la stessa operazione sul Pil si vede che nel 2025 cresce del 2,82% e nel 2026 cresce del 3,3%. Oh caspita! (ho esaurito i perbacco e dovrei usare una espressione di disappunto tipica del linguaggio comune ma che non si può scrivere) Ma anche il Pil è previsto in crescita! Certo, ma siccome il Pil crescerà (+3,3%) di più della spesa (+1,66%) ecco spiegato perché la spesa come percentuale del Pil diminuisce.

Azzardo adesso, non per portare rogna ma per completare questa complessa spiegazione, che per qualche non prevista evenienza (crisi economica, nuova pandemia, guerra, …) il Pil del 2026 aumenti ma solo dello 0,8% attestandosi quindi su 2.222,5 miliardi: in questo caso la stessa spesa sanitaria che era prevista al 6,1% diventa il 6,3% del Pil, ma è sempre, numericamente parlando, la stessa spesa.

In conclusione. Si può discutere se le stime del Pil degli anni prossimi sono o non sono corrette, si può discutere se sia preferibile o necessario mettere più soldi in sanità, ma (al di là delle comprensibili esigenze di polemica politica) se si vogliono fare dei confronti che abbiano senso bisogna prima imparare a “fare i conti della serva”, astenendosi dall’utilizzo di indicatori (purtroppo molto di moda) che, male usati, producono solo cattiva informazione ed errori. D’altra parte, e lo si è potuto verificare in maniera lampante anche con la pandemia, la dimestichezza di media e politici con la semplice aritmetica lascia molto a desiderare, e un po’ di formazione specifica non guasterebbe, almeno per eliminare gli errori più grossolani.

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