Lezione in una delle classi più vivaci. L’ora inizia dopo l’intervallo con molta fatica, prima che tutti ci siano sul serio. Affrontiamo una delle domande che i ragazzi hanno scritto all’inizio dell’anno: “Come posso fare a risolvere i problemi in famiglia?”. Cala subito un silenzio carico di attesa. Per tanti i rapporti in famiglia sono tutto tranne che scontati. Li incalzo per verificare se ci stanno ad andare a fondo della questione. Cosa vuol dire essere amati? Chi mi è padre e madre? Che dono è l’essere voluti?

A un certo punto un ragazzo seduto all’ultimo banco prende la sedia e viene davanti. I compagni lo guardano meravigliati e gli chiedono: “Ma cosa fai?”. Lui, fissandomi, risponde: “Voglio sentire”. Un instante di silenzio e riprendiamo il dialogo.

Da giorni non riesco a non pensare a quella scena. Cosa spinge uno a prendere la sedia e a venire avanti? Non può essere solo l’interesse per l’argomento di cui stavamo parlando. Deve essere scattato in lui qualcosa che lo ha mosso. Un desiderio di esserci, di coinvolgersi, di non perdere l’occasione. Nessuno gli ha detto nulla, eppure ha preso la sua sedia ed è venuto avanti, senza paura di seguire ciò che lo ha mosso, senza dubitare del suo criterio di giudizio.

Questa scena mi accompagna come un faro perché spesso, invece, mi ritrovo impaurito per le urgenze che sento. Mi guardo attorno e tremo all’idea di rimanere l’unico a sentire la vertigine del giudizio sulle cose, tanto che rinuncio ad assecondarla. Meglio non esagerare, meglio stare al mio posto, possibilmente dove si collocano tutti: all’ultimo banco. Senza saperlo quel ragazzo mi ha dato una scossa, ricordandomi che un’alternativa c’è: prendere la sedia e venire avanti.

L’idea che alle nostre domande non ci sia risposta, che al nostro desiderio di eternità non corrisponda alcuna promessa, non ci rende liberi. E proprio facendo i conti con questa mancanza di libertà, prima o poi, scatta quella mossa che ci fa venire avanti. Storicamente Cristo è venuto per darci la possibilità di fare un salto in prima fila, anziché accontentarci di una vita dietro le quinte in balìa dei suggeritori di turno. Farisei e capi avevano creato il loro potere attorno a un concetto esclusivo di elezione. Loro avevano le chiavi per capire, loro potevano giudicare tutto e tutti. Il popolo no, doveva essere guidato. Gesù ha smascherato questo tranello in una frase riportata dall’evangelista Luca: “Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito”. Lui ha pagato con la vita il fatto di aver reso accessibile a tutti l’alleanza con Dio.

Il potere si genera e rigenera sempre in modo analogo. Necessita di un “popolo bue” a cui spiegare come vanno le cose e si ritaglia ambiti in cui nessun altro può entrare. Come si può evitare questo rischio? Talvolta semplicemente ponendo una domanda che l’altro non ha il coraggio di farsi, per esempio: “Come posso fare a risolvere i problemi in famiglia?”. Uno in classe ha avuto il coraggio di fare la domanda, un altro di prendere la sedia e venire avanti.

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