Mentre tutto è violenza, distruzione e odio, c’è chi a Gaza cerca di continuare a vivere e costruire. Il piccolo segno di chi vive la fede cristiana è una profezia di una pace possibile per tutti. Shalom.
Lavoro per l’associazione Pro Terra Sancta, Ong da anni presente in Israele e Palestina, in luoghi come Betlemme, Gerusalemme e in diversi altri Paesi della Terra Santa, come Libano, Siria, con diversi progetti di cooperazione e sviluppo, in collaborazione con i frati della Custodia di Terra Santa.
Negli ultimi anni abbiamo visto nascere incontri e rapporti inaspettati con cristiani e musulmani coinvolti in progetti comuni (come i nuovi scavi del Santo Sepolcro, il recupero della tomba di Lazzaro e di tutta l’area di Betania, diverse attività di aiuto sociale a Betlemme).
Con fatica e dedizione, tanti colleghi hanno nel tempo costruito qualcosa che sembrava andare controcorrente rispetto alla mentalità del conflitto e della divisione. Questa nuova, immensa ondata di violenza e di guerra, diversa da tutte le altre, ha sconvolto tutti, con lo stesso effetto del terremoto in Siria: quello che pian piano era stato ricostruito giorno per giorno, ora cade di nuovo. E in questo contesto è ancora più tragico, perché qui ad agire è la furia cieca dell’uomo.
È riemerso un odio che in qualche modo sembrava essere stato vinto da tanti momenti di condivisione e vita insieme. Di fronte a questi fatti così tremendi e duri, vedendo la più ampia portata della questione, le conseguenze terribili che potrebbe avere nel contesto medio-orientale, mediterraneo e globale, è sorto potentemente in me un senso di paura e di non speranza: la convinzione che da una cosa così non si possa tornare indietro e che in fondo il peggio debba ancora venire.
Come sempre accade, la speranza si è però re-introdotta in me come un cambiamento di sguardo… alcuni testimoni e fatti da guardare, che mi hanno fatto spostare lo sguardo dalle circostanze che vedevo storte e senza uscita, all’esperienza.
Faccio alcuni esempi.
Alcune colleghe giovani che stanno lavorando in Palestina potrebbero fare richiesta di rientro, ma per ora hanno deciso di rimanere. Interpellata sulla questione, una di loro ha risposto: “Ci ho pensato, ad andare via, ma il pensiero di lasciare i miei colleghi e amici dell’ufficio, tutti palestinesi, non mi lascia tranquilla al fondo. Io me ne vado al sicuro… ma loro rimangono qui! C’è qualcosa che mi tiene qui, anche solo il legame che si è creato. Desidero rimanere per questo”.
Un altro esempio potente, come penso per tanti, è stato quello del Patriarca e Cardinale Pizzaballa. Anzi direi proprio la potenza della sua esperienza di fede. Quello che dice e racconta, l’enorme preoccupazione e dolore che non cerca di nascondere, il suo realismo quasi misto a cinismo, porterebbe a dire: ecco una posizione simile a tutte le altre che si vedono e si sentono in giro. E in parte è così. Ma c’è qualcosa di diverso, è un’esperienza simile ma diversa, più umana. Innanzitutto, per come parla e per come agisce, sembra che qualcuno lo stia chiamando urgentemente ogni istante, che lo stia “mandando”. Allo scoppio delle violenze di Hamas si trovava in Italia; quindi, fa di tutto per rientrare il prima possibile a Gerusalemme.
In un’intervista gli hanno chiesto: “Eminenza, di fronte a questi fatti… dov’è Dio?”, e lui ha risposto: “Più che altro io mi chiedo: dov’è l’uomo?? Dentro tutto questo fiume di violenza, dov’è finito l’uomo??”. Un giudizio che ricentra lo sguardo sull’umanità e ribalta la questione: cosa rende l’uomo uomo?
O ancora, quello che afferma nella lettera inviata alla diocesi: “È sulla croce che Gesù ha vinto. Non con le armi, non con il potere politico, non con grandi mezzi, né imponendosi. La pace di cui parla non ha nulla a che fare con la vittoria sull’altro. Ha vinto il mondo, amandolo. Una pace così, un amore così, richiedono un grande coraggio…”.
E poi ai cristiani di Gaza: “Non dovete sentirvi soli, siamo in unità ora più che mai”. Ma non è solo unità e consolazione, come tutti giustamente cercano di far sentire come vicinanza, ma è un’altra cosa: una unità in Cristo, un fattore che trapassa tutto, che si può abbracciare pienamente anche a Gaza.
E per ultimo, il Cardinale si è offerto come scambio per uno dei bambini israeliani rapiti. Offrire sé per l’altro, anche se sconosciuto.
Ho dovuto riconoscere qualcosa di eccezionale che si palesava davanti a me, fino a chiedermi: “Ma com’è possibile? Da dove viene quello che sto vedendo?”. Mi ha colpito la possibilità di crescere nella fede, seguendo tutte le domande che emergevano in me. Non a caso, pochi giorni prima al Concistoro a Roma, durante il rito che ha visto diventare cardinale Pizzaballa, il Papa recitava la formula, “accetta il berretto rosso che sta a significare… fino allo scorrimento del sangue per l’incremento della fede cristiana nel mondo…”. C’è qualcuno nel mondo pronto a dare la vita per l’incremento della nostra fede!
Per ultimo, il parroco di Gaza. Anche lui si trovava fuori dal paese al momento degli attacchi, ora è a Betlemme e da ormai due settimane cerca in tutti i modi di rientrare Gaza. È forse l’unica persona in questo momento che desidera compiere il percorso opposto a tutti… vuole assolutamente tornare nella sua parrocchia! E la comunità dei cristiani lì è spettacolare. Sono poco più di mille, un centinaio quelli latini. Vorrebbero essere ovunque tranne che sotto le bombe, come tutti, ma l’unità tra di loro e la dedizione verso gli altri rimane qualcosa da guardare con stupore e commozione, così come sono, circondati da una popolazione a maggioranza musulmana, i gruppi di Hamas e gli israeliani dall’altra parte del confine.
Una nostra collega di Betlemme è riuscita a incontrarlo, lui le ha raccontato che sta facendo di tutto per tornare dai “suoi”, che lo stanno aspettando. Poi al termine dell’incontro ha detto: “Mi raccomando, prego per te. Non devi essere triste, perché possiamo aiutare solo se abbiamo il cuore allegro!”.
Ecco un’esperienza di corrispondenza nuova, che arriva a includere anche ciò che uno non sceglierebbe mai…
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