È inutile che ci giriamo attorno o che ci nascondiamo dietro a un dito: man mano che ci avviciniamo al momento di approvare la Legge di bilancio appare sempre più chiaro che di soldi non ce ne sono, e se in generale non ce ne sono, visto come è andata in questi anni per la sanità ce ne saranno ancora di meno.

Anche se le regioni e il ministro concordano che al Fsn mancano solo 4-5 miliardi, soldi che sarà comunque difficile che il Governo riesca a mettere a disposizione della sanità; anche se, come si usa dire, “piuttosto che niente è meglio piuttosto”; anche se la questione economica è una parte rilevante della soluzione; risulta difficile ipotizzare che qualche miliardo in più possa sistemare un servizio sanitario che oggi, gravato inoltre dagli effetti di una pandemia che ha superato il triennio, sta mostrando tutti i suoi limiti.

Sono ormai tanti coloro (e anche noi tra questi) che ripetutamente e da diversi punti di vista stanno mostrando tutto quello che non va: dai problemi del personale e della sua formazione all’incapacità di alcune regioni di erogare i Lea, dalle difficoltà dei pronto soccorso alle carenze della assistenza territoriale che, tra altro, fa anche molta fatica a mettere a terra un’opportunità come le risorse del Pnrr, dalla ricerca di senso per un lavoro che produce molti fenomeni di burnout alla presenza di liste di attesa la cui inaccettabile lunghezza sta spingendo sempre più pazienti alla rinuncia alle cure o a rivolgersi al di fuori del Ssn. E via continuando con la lista delle geremiadi.

È evidente che serve una svolta. Ma verso dove?

Per alcuni, rappresentanti di diverse aree di pensiero, questo Ssn mantiene una sua validità ma necessita di alcuni interventi mirati anche rilevanti: innanzitutto più risorse, anche se non è chiaro dove si deve andare a prenderle; poi migliori stipendi e gratificazioni agli operatori, soprattutto in alcuni settori particolarmente sofferenti (emergenza-urgenza, medicina di base, …) e per fermare la diaspora dei professionisti (nel senso di uscita dal Ssn, in particolare dalle strutture pubbliche) e aumentare l’attrattiva del comparto; e poi, e poi, e poi…

Per altri, e qui interviene chiaramente un’impostazione più caratterizzata ideologicamente, il vero problema è la presenza del privato accreditato, cioè di quel privato che fa parte a pieno titolo del Servizio sanitario nazionale. Eclatante da questo punto di vista è il caso della proposta di referendum abrogativo avanzata dalle forze di sinistra in Lombardia. Secondo costoro, il Ssn può sopravvivere solo se si elimina questo privato e si trasferiscono al pubblico le risorse di cui oggi questo privato accreditato beneficia. Al di là dell’impostazione statalista che muove questa proposta e che riporterebbe indietro di alcuni decenni sistemi sanitari regionali che si sono evoluti e migliorati proprio per avere assunto, al contrario, un’impronta sussidiaria, se da una parte può apparire indubbio (anche se in realtà è tutto da dimostrare) che un’iniezione di risorse nel pubblico non può fare altro che bene a questa parte del Ssn, dall’altra occorre chiedersi con quali risorse si affronteranno i bisogni sanitari di quella larga quota di popolazione che oggi usufruisce di servizi Lea (cioè di servizi essenziali per il Ssn) rivolgendosi alle strutture del privato accreditato.

In altre parole, se la torta è composta di due fette, una che sfama 70 persone e una che ne sfama 30, se la fetta da 30 la si toglie ai 30 per aggiungerla alla fetta da 70 questi 70 avranno un beneficio, ma poi bisogna trovare un’altra torta aggiuntiva altrimenti gli altri 30 saranno destinati ala fame. Potrebbe anche servire uno spostamento di risorse, ma se queste complessivamente non aumenteranno i problemi del Ssn non verranno risolti.

Nota bene. A questo punto si dovrebbe aprire un lungo capitolo sul ruolo e la capacità del pubblico di rispondere realmente ai requisiti di uniformità, equità, gratuità, essenzialità, …, su cui si fonda il nostro Ssn, ma ci distoglierebbe dalla preoccupazione principale che ha mosso questo contributo e che è contenuta nelle righe che seguono.

Il quadro che abbiamo sommariamente rappresentato costringe a porsi una domanda sostanziale: il Ssn disegnato dalla L.833/1978, L.502/1992, L.229/1999, con le sue caratteristiche specifiche dal punto di vista valoriale (uniformità, equità, …) è ancora oggi sostenibile? Il nostro Paese se lo può permettere? Ci sono le condizioni complessive perché questo Ssn (con gli opportuni interventi di modifica come quelli accennati in precedenza) continui la sua vita realizzando veramente i contenuti valoriali che ne sono il fondamento?

Con una capacità di lettura della realtà che ogni volta ci stupisce e che è capace di anticipare quello che poi diventa spesso normale nella nostra società occidentale, questo anno il Meeting per l’amicizia tra i popoli che si è svolto a Rimini dal 20 al 25 agosto, con la durezza e la lungimiranza tipiche di chi ha visioni profetiche, ci ha posto davanti al problema del futuro del Ssn con questa provocatoria domanda: “Sanità per tutti: un sistema con una data di scadenza?”, dove la domanda non vuole prefigurare l’idea erronea che la sanità non debba essere per tutti, bensì vuole richiamare l’attenzione sul fatto che l’attuale servizio sanitario, che è appunto per tutti, non ha bisogno di interventi limitati, settoriali, economicamente poco rilevanti (anche se comunque necessari), ma richiede un suo sostanziale ripensamento, avendo ormai superato ben 45 anni di sopravvivenza, cioè una durata che probabilmente non indirizza verso un semplice tagliando ma necessita di una significativa revisione per una nuova ripartenza.

È giunto il momento di non avere paura di alzare l’asticella, di provare a immaginare come deve essere il Ssn di domani anche se questo richiedesse di abbandonare certezze consolidate, di produrre nuovo pensiero sanitario, di non limitarsi a tirare a campare per non correre il rischio di essere (anche fortemente) criticati. Più che di qualche miliardo (ma sarebbero comunque sempre troppo pochi) e di qualche sporadico intervento per tappare le falle più grosse ed evidenti, c’è bisogno di “un pensiero sorgivo” (dal titolo di un volume che l’ex arcivescovo metropolita di Milano card. Angelo Scola ha dedicato a commento degli scritti di mons. Luigi Giussani), del coraggio di progettare una nuova ripartenza.

È necessario che chi condivide questa preoccupazione si faccia avanti, osi a esporre idee, proposte, suggerimenti e quant’altro possa servire ad arricchire questa discussione nella prospettiva di un nuovo inizio.

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