Quella “stretta al cuore” che non molla

Il Papa ha dedicato la sua ultima udienza a Madeleine Delbrêl. Era agnostica, seguendo gli amici e la propria angoscia trovò Dio

Mercoledì scorso il Papa ha dedicato la tradizionale udienza generale alla figura di Madeleine Delbrêl. Nel presentarne la storia ha toccato un punto che sfida la vita di tutti: “Nata nel 1904 e morta nel 1964, è stata assistente sociale, scrittrice e mistica, e ha vissuto per più di trent’anni nella periferia povera e operaia di Parigi… Dopo un’adolescenza vissuta nell’agnosticismo – non credeva a nulla –, a circa vent’anni Madeleine incontra il Signore, colpita dalla testimonianza di alcuni amici credenti. Si mette allora alla ricerca di Dio, dando voce a una sete profonda che sentiva dentro di sé, e arriva a comprendere che quel ‘vuoto che gridava in lei la sua angoscia’ era Dio che la cercava (Abbagliata da Dio. Corrispondenza 1910-1941, Gribaudi 2007, p. 96)”.

Per tutti arriva l’appuntamento con il “vuoto che grida in noi la sua angoscia”. L’origine della parole “angoscia” è molto interessante: dal latino “angùstia” (strettezza), da “àngere” (stringere) da cui anche “angina”. Le varie accezioni dell’angustia sono altrettante declinazioni della strettezza: mancanza di spazio; scarsità di risorse; stretta al cuore.

Non so quante, delle domande dei ragazzi e dei racconti degli adulti, hanno a tema questa sfida, questa stretta al cuore dovuta alle circostanze più disparate. Facciamo le nostre cose, assolviamo ai nostri doveri, pianifichiamo e organizziamo tutto al meglio, eppure c’è qualcosa che non torna mai. Che non torna mai in noi, non nelle cose che facciamo, perché quelle possono anche riuscirci.

Madeleine Delbrêl definisce efficacemente questa angoscia come il grido del suo vuoto. Dio ha dato una voce al vuoto che c’è in noi. E questa voce parla un linguaggio che comprendiamo molto bene, permettendoci di distinguerla da altre voci. C.S. Lewis, nel suo capolavoro Le lettere di Berlicche, fa descrivere al Diavolo stesso (che chiama Dio “Nemico”) il timbro di queste “altre voci”: “Non v’è nulla che equivalga alla sospensione e all’ansietà per barricare la mente di un essere umano contro il Nemico. Egli vuole uomini che si preoccupino di ciò che fanno: nostro compito è invece di farli pensare sempre a ciò che capiterà loro”.

La voce di Dio in noi fa di tutto perché non rinunciamo alle ragioni di ciò che viviamo. È una voce amica, che quand’anche prendesse la forma di una stretta al cuore, non è mai per schiacciarlo. La voce dell’Antagonista, invece, mette ansia per quello che potrebbe capitarci, facendoci scappare da ciò che viviamo in un futuro fatto di illusioni e fantasmi della mente. Sempre Lewis fa descrivere al Nemico l’arte del Creatore in un passaggio da brividi: “Ora, può essere per te una sorpresa venire a sapere che nei suoi sforzi di impossessarsi per sempre di un’anima, Egli si basa sulle depressioni ancor più che sulle elevazioni. Alcuni dei suoi speciali favoriti sono passati attraverso depressioni più lunghe e più profonde di qualsiasi altro. (…) Egli vuole proprio riempire l’universo di un quantità di nauseanti piccole imitazioni di Se stesso – creature in cui la vita, in miniatura, sarà qualitativamente come la Sua, non perché Egli li assorbirà, ma perché le loro volontà si conformeranno liberamente alla Sua. (…) Le metterà in moto con comunicazioni della Sua presenza che, quantunque deboli, sembrano grandi per esse, con emozioni dolci, e facendole superare facilmente le tentazioni. Ma non permette mai che questo stato di cose duri a lungo. Presto o tardi ritira, non di fatto, ma dalla loro esperienza consapevole, tutti i sostegni e gli incentivi. Lascia che la creatura stia in piedi sulle sue stesse gambe – a compiere puramente con la volontà doveri che hanno perduto ogni gusto. È durante tali periodi di elevazione, che la creatura diventa di quel genere che Egli desidera che sia. Donde le preghiere offerte in uno stato di aridità sono quelle che più gli sono gradite. (…) Egli vuole che essi imparino a camminare, e perciò deve tirar via la mano; e purché ci sia veramente la volontà di camminare, Egli sembra gradire perfino il loro inciampare”.

Su questo rischio per la nostra libertà si gioca la nostra decisione: andare a fondo del “vuoto che grida in noi la sua angoscia” – e dove siamo attesi dall’Unico in grado di abbracciare tutto il nostro umano –, oppure scappare in un tempo che non c’è.

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