Sergio Massa, ex ministro dell’Economia, è arrivato al secondo turno delle presidenziali argentine per diversi motivi. Uno di questi è la persistenza del corporativismo, un sistema di organizzazione sociale che consolida il clientelismo. In Argentina ci sono realtà della società civile (associazioni professionali e imprenditoriali, movimenti popolari, sindacati) che danno il loro voto a un candidato in base alla protezione che possono ottenere da lui. Francis Fukuyama chiama questo fenomeno “tirannia dei cugini”, qualcosa di simile alla “tirannia dei parenti”. Una famiglia, un gruppo sociale, garantisce un certo numero di voti in cambio del fatto che il partito a cui sono assegnati inserisca uno dei suoi membri tra gli eletti o soddisfi le proprie richieste: noi vi diamo il nostro voto e voi inserite uno dei nostri nelle liste e rispondete ad alcune delle nostre richieste. È uno scambio di favori. Il meccanismo funziona se i leader dell’organizzazione convincono tutti i membri a votare per il partito con cui hanno raggiunto un accordo e se li convincono a votare “uno dei nostri”. Era qualcosa di comune nell’antica Roma ed è stato presente per tanti secoli nella storia europea: lealtà politica in cambio di protezione.

Poiché i partiti stanno nuovamente entrando in crisi, come è successo negli ultimi decenni in Europa, lo scambio di favori è tornato a prosperare. Ci sono luoghi in cui non è mai scomparso. I favori non devono essere monetari, possono essere favori che rispondono, sulla carta, a grandi ideali: libertà di impresa, libertà educativa, difesa di valori considerati essenziali. E cosa c’è di sbagliato nella tirannia dei familiari? Non è forse una formula di sussidiarietà, un modo concreto per dare protagonismo ai corpi sociali intermedi? C’è sempre il pericolo che uno scambio di favori finisca per degenerare. Da quelli ispirati ai valori più alti è facile passare a favori che si basano su forme di sovvenzioni o posti di lavoro. E da lì si arriva a favori sotto forma di benefici personali per i dirigenti delle organizzazioni sociali. È facile che, in cambio di voti o finanziamenti, vengano aggiudicati importanti contratti pubblici. Quest’ultimo, nella terminologia anglosassone, si chiama crony capitalism, capitalismo clientelare.

Ripetiamo la domanda: e cosa c’è di male? Non è questo un modo per consentire l’accesso alle fasce più povere e meno partecipative della popolazione al sistema? Non è un modo per limitare lo statalismo?

Il problema è che, con questa formula, il bene comune è concepito come la somma di beni particolari. Il criterio di voto non si basa su ciò che è nell’interesse della società nel suo insieme, ma piuttosto su interessi particolari. Ciò che era un’organizzazione della società civile diventa parte del sistema partitico o dello Stato. L’originalità del suo contributo scompare. Le organizzazioni civili iniziano a denunciare lo statalismo invasivo e finiscono poi per diventare parte del suo meccanismo.

Ma c’è un effetto è ancora più pernicioso. Poiché occorre garantire che tutti i membri dell’organizzazione esprimano lo stesso voto, lo spazio per la libertà personale, per la riflessione personale o congiunta scompare perché tutto viene deciso dall’alto. Questo è ciò che più danneggia la democrazia. Quando l’esercizio della responsabilità politica è delegato a “esperti” o élite, la capacità critica inevitabilmente diminuisce e aumenta una passività che indebolisce la vita comune.

Argentina, Spagna e Italia devono liberarsi della tirannia dei familiari.

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