Molti italiani, come molti europei, vorrebbero o dovrebbero vendere casa: la prima o un’altra. Oppure vorrebbero comprarla: per se stessi, per i figli, per investire i propri risparmi offrendo abitazioni in affitto. L’inflazione – dopo molti anni di mercato fermo – ingrossa le fila dei primi, desiderosi di realizzare, ma, simmetricamente, frena o paralizza i secondi. Soprattutto: la politica di contrasto all’inflazione adottata dalle banche centrali ha segnato la fine di una lunga era di “tassi zero” e fatto tornare improvvisamente molto onerosi i mutui. E questo sta legando le mani a chi vorrebbe acquistar casa e sta mettendo in guai seri chi la sta ancora pagando, rimborsando i prestiti bancari a tasso variabile (e il mercato ingessato rende più difficili vendite d’emergenza). Dopo un anno e mezzo di tassi alti, la Bce ha avvertito che non prevede alleggerimenti per almeno l’intero primo semestre del 2024: e successivamente nessuno può ragionevolmente pronosticare una rapida normalizzazione.

Ma lo scossone inflazionistico non è l’unica minaccia al bene d’investimento per eccellenza: 18 milioni di famiglie italiane (quattro ogni cinque) vivono in una casa di proprietà e il valore stimato in termini di ricchezza finanziaria è superiore ai 6mila miliardi. Di fatto la casa è il primo giacimento di ricchezza privata del Paese, da sempre saldamente in testa, anche per questo, alle graduatorie internazionali.

È un “pozzo” in cui – sulla carta – sono stati stipati anche decine di miliardi di nuovo valore attraverso il superbonus, cioè tramite sussidi pubblici alla riconversione energetica. Ma – al netto di una quota purtroppo non trascurabile di truffe e dell’inflazione stessa che ha sconvolto molti cantieri – è dubbio che il superbonus abbia aritmeticamente aumentato il valore di mercato di centinaia di migliaia di abitazioni: più facile immaginare che abbia invece illuso molti proprietari. I quali, nel frattempo, hanno scoperto che portare le proprie abitazioni da classe energetica G a E – oltre ad avere limitati benefici effettivi al test improvviso del caro-bollette – non sarà sufficiente ad affrontare le forche caudine delle nuove normative Ue sulla “casa verde”: originariamente fissate al 2035. Sul mercato sono nel frattempo già in offerta nuove abitazioni “stato dell’arte sul piano dell’eco-sostenibilità”: ovviamente molto costose, più del previsto per via del riflesso inflazionistico e non facilmente compra/vendibili. Salvo rendere meno compra/vendibili anche le case esistenti, per quanto riconvertite.

Un fisco non si sa quanto davvero “amico” delle case degli italiani via superbonus rimane intanto iniquo con la tassazione ordinaria. Un terreno sul quale la revisione delle rendite catastali in cantiere sembra solo sinonimo di rialzi generalizzati, non di razionali perequazioni anti-evasione/elusione (e nella situazione corrente appare più che mai arbitrario pretendere di fissare un “giusto valore di mercato” per milioni di abitazioni: soprattutto con lo spettro di una patrimoniale straordinaria sempre all’orizzonte). Nel frattempo l’Imu e gli altri tributi locali sembrano ormai parenti prossimi degli autovelox nel turare le falle aperte dal taglio dei trasferimenti statali ai comuni.

Nessuno – nessun Governo nazionale, nessun Parlamento o Commissione Ue – può permettersi di giocare con fuoco con le case degli italiani. Bene privato, bene collettivo.

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