In un recente editoriale su queste colonne, Luca Farè legge i cambiamenti in corso nella nostra società, definita “liquida” da Zygmunt Bauman perché priva di consistenza e di legami, e rilevando che l’attuale momento storico è “caratterizzato da un ruolo sempre più attivo del settore pubblico” (cioè un intervento più pervasivo degli Stati) indica che “ci avviamo ad una crescente interdipendenza tra settore pubblico e privato”. Questa considerazione lo porta a chiedersi “che ruolo può avere la sussidiarietà in questo nuovo contesto” e, tra altro, produce un significativo esempio: “Si pensi al valore aggiunto che il principio di sussidiarietà può portare nel processo di sviluppo e attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)”.
A un invito così esplicito a pensare al Pnrr risulta difficile sottrarsi e allora proviamo a guardare al versante sanità del Piano per verificare se e come quelle caratteristiche della sussidiarietà che Farè ha sapientemente individuato e tratteggiato trovano pratico riscontro nelle realizzazioni ad oggi note del piano.
Non discuteremo se le risorse per la parte sanità del Pnrr sono poche o tante (per chi scrive sono poche e potevano essere di più), ma nel periodo di carestia di risorse che stiamo vivendo sono comunque manna dal cielo e sarebbe un peccato mortale non usarle o sprecarle (ma si può usare ancora questa terminologia religiosa nella nostra società o si offende qualcuno che religioso non è?); così come non analizzeremo se siamo in linea con la programmazione prevista o siamo in ritardo (siamo molto in ritardo soprattutto in alcuni territori): andremo invece alla ricerca di indizi che ci facciano capire se l’approccio sussidiario è una strada maestra seguita e apprezzata ovvero non ci azzecca con le realizzazioni in corso.
Dice Farè: “ci avviamo ad una crescente interdipendenza tra settore pubblico e privato”. Sulla stessa linea avevamo proposto recentemente delle riflessioni. Se guardiamo l’impostazione generale del Pnrr dobbiamo (ahinoi) concludere non solo che non ci avviamo sulla strada indicata da Farè, ma addirittura il privato (e parliamo di quello accreditato che fa parte a pieno titolo del Ssn) non è nemmeno preso in considerazione nel Pnrr perché sia le risorse che le iniziative proposte (case e ospedali di comunità, …) sono esclusivamente destinate al pubblico. Certo, ci sono anche sporadici tentativi locali di coinvolgimento del privato, ma sono le classiche mosche bianche additate da tutti, ma che non lasciano il segno e non trovano seguito.<
Dice ancora Farè: “essere attenti alle esperienze che nascono dal basso può essere di grande aiuto per individuare quelle soluzioni e relazioni di cui oggi più che mai abbiamo bisogno”. Su questo punto il Pnrr sanità offre sicuramente degli spunti di interesse. Abbiamo infatti contezza di esempi (anche se dobbiamo subito chiarire che per ora sono ancora pochi) in cui vi è un serio coinvolgimento delle realtà locali, dell’associazionismo (di vario tipo) presente sul territorio, dei corpi intermedi, e così via (evitiamo di fare nomi espliciti perché non ci interessa l’elenco dei buoni e dei cattivi come si faceva a scuola ai miei tempi), con un approccio esplicitamente sussidiario perché, come dice Farè, “proprio la collaborazione virtuosa a tutti i livelli tra i diversi soggetti e nuclei di potere è il cuore della cultura sussidiaria”.
Alcune di queste peculiarità si registrano anche a livello di regioni, almeno per quelle che più si sono impegnate, dove sono evidenti le diverse soluzioni adottate per raggiungere gli stessi obiettivi previsti per l’assistenza territoriale: in questo caso, però, non è sempre del tutto chiaro se stia agendo un approccio sussidiario o se, al contrario, sia invece in azione solo il tentativo di diversificarsi e di adottare percorsi (espliciti o impliciti) di autonomia.
Da ultimo, ma solo per la necessaria ristrettezza dello spazio concesso a contributi come questo, da Farè riprendiamo il tema “dell’isolamento della persona, dell’indebolimento dell’io in relazione”. Il cuore delle proposte Pnrr per la sanità non è la ristrutturazione di locali, l’apertura e/o il riutilizzo di strutture ormai ridotte all’inattività e all’obsolescenza (interventi strutturali che caratterizzano gran parte delle attività al momento messe in opera), ma è la collaborazione tra soggetti diversi (medici di base e specialisti, infermieri e farmacisti, esperti di ADI e di assistenza sociosanitaria, …), tra servizi diversi che qualificano e danno valore alla assistenza territoriale, ma per fare questo occorre innanzitutto il personale. Se non si sblocca la questione del personale che deve essere destinato al funzionamento di queste strutture avremo rinfrescato dei muri, fatto girare anche un po’ di economia, ma non avremo segnato alcun passo in avanti nel miglioramento della assistenza territoriale.
Allora ci perdonerà il Sommo Poeta se approfittando del suo genio ci permettiamo di prenderne a prestito un po’ (Purgatorio I, v. 71) aggiungendo qualcosa di nostro per concludere: sussidiarietà “va cercando, ch’è sì cara”, ma pur essendo degli inguaribili ottimisti ci permettiamo di aggiungere in fondo un bel “punto di domanda”.
Morale. Si conviene con Farè che il Pnrr (e in particolare la parte sanitaria) offre grandi opportunità per un approccio e per soluzioni che valorizzino e applichino la sussidiarietà, ma al momento vediamo pochi e isolati tentativi in cui questo principio ha trovato pratica applicazione, perché è molto più semplice limitarsi a ristrutturare qualche vecchio locale. Anche su questo occorre un cambio di passo e imboccare esplicitamente una cultura sussidiaria.
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