“Perché sono un uomo” (Ancora), l’edizione italiana della biografia di don Giussani che ho scritto in occasione del centenario della sua nascita, è in libreria. Ricordo di essere rimasto sorpreso nel ricevere l’incarico di prepararla. Ho scritto reportage, sceneggiature per i miei documentari. Mi dedico all’informazione nazionale e internazionale, alla realizzazione di programmi radiofonici. Alberto Savorana aveva già scritto quella che resterà sempre l’opera di riferimento per avvicinarsi alla vita del fondatore di Comunione e Liberazione. Non avevo altri strumenti per svolgere il mio lavoro se non il suo libro, oltre ad alcune testimonianze che avevo potuto raccogliere. E ovviamente il mio sguardo, lo sguardo di un giornalista spagnolo con certe, poche, capacità narrative.
Lo sguardo di uno “straniero” a volte offre una certa prospettiva, motivo per cui tendiamo a interessarci a ciò che dicono i corrispondenti esteri. In realtà, ciò che posso offrire al lettore è una vibrazione. La vibrazione intensa, radicale e appassionante che l’umanità di Giussani genera nella mia umanità.
I lettori dell’edizione spagnola e le mie esperienze degli ultimi mesi mi hanno fatto capire, ancora una volta, la ricchezza e l’attualità della testimonianza di Giussani per le grandi sfide che il mondo e la Chiesa devono affrontare in questo XXI secolo. Qualche giorno fa, a Madrid, Juan José Gómez Cadenas, un grande scienziato dedito alla fisica delle particelle e ai neutrini, ha presentato il mio libro. Oltre a essere un ricercatore, è uno scrittore e, come lui stesso afferma, «fondamentalmente ateo». Ho potuto constatare, sorpreso, grazie alle sue parole, l’attualità del modo di Giussani di concepire e usare la ragione per alcuni dei grandi temi del momento.
L’Intelligenza artificiale e la vertiginosa capacità di elaborazione dei dati cui siamo arrivati ci pongono di fronte alla sfida coinvolgente di riscoprire ciò che è proprio della conoscenza umana. Cadenas, che si dedica alla scoperta delle profondità dell’Universo, ha detto di essere stato interpellato dall’esperienza di una ragione che raggiunge il suo culmine attraverso l’esperienza e la sua apertura all’infinito. «Rispondere a Leopardi e a colui che vi parla, così come a tutti gli uomini che hanno guardato il cielo in una notte stellata o hanno abbracciato i loro bambini al petto, è ciò che si prefiggeva quel prete magro e un po ́malaticcio, ribelle, nervoso, instancabile, magnetico e fuori di testa, chiamato don Giussani», ha detto il fisico. Che ha poi aggiunto: «Giussani pedala sulla sua enorme bicicletta e riflette sul problema di baciarsi avendo coscienza dell’universo. Chi vi parla sa esattamente di cosa sta parlando».
Qual è l’identità dell’io che conosce perché ha coscienza dell’universo? Cosa lo rende libero? Queste sono state le due domande sorte spontaneamente nella conversazione che ho avuto all’inizio di novembre con una coppia omosessuale. Libertà e identità, le questioni che emergono, in un modo o nell’altro, in qualsiasi dialogo di questo tempo, sono sorte nel calore di una buona pizza e del vino non così buono. Come avrei potuto capire, amare e provocare la libertà di queste due persone se non avessi imparato da Giussani che la libertà è la soddisfazione più grande? Come sarebbe stato possibile se non avessi imparato e sperimentato che il cristianesimo è l’avvenimento di Cristo che accade proprio ora? Come, se non avessi sperimentato, grazie a Giussani, che il Mistero fatto carne è così reale, così corrispondente, da essere capace di attrarre pienamente la mia libertà?
In quella cena, l’amicizia, il contenuto dell’amicizia di Giussani con Testori, tornò più e più volte alla mia mente e nel mio cuore. In un mondo deserto come il seno di una donna abbandonata, solo l’identità di un io orfano che torna a essere amato, concepito e generato di nuovo, può rinascere e far rinascere la vita.
Una delle prime lettrici spagnole ha voluto raccontarmi in primavera cosa aveva scoperto avvicinandosi alla vita di Giussani. È una donna che si è appena sposata, giovane e molto bella. Una cattolica educata in una delle migliori scuole cattoliche. Mi confessò che fino ad allora, senza mai mettere in dubbio la sua esperienza di fede, era sempre stata in balia delle valutazioni e delle conferme altrui. Non aveva la solidità di una conoscenza irriducibile. Incarnava un’altra delle sfide del momento.
Per coloro che continuano a credere, la fede è una “santa ignoranza”. Per questo credono come se non credessero. Per vivere la fede hanno bisogno di rifugi, di opzioni che permettano di allontanarsi in qualche modo dalla realtà. La giovane donna mi ha fatto notare che Giussani, attraverso la sua biografia, non le aveva detto, come faceva al Berchet, cosa avrebbe dovuto pensare o sentire. Le aveva dato un metodo per sperimentare nel presente una fede capace di trasformarsi in conoscenza amorosa, in una certezza lieta che le permetteva di non difendersi dalla realtà e dal mondo, ma di amarli intensamente.
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