Le bolle da evitare

Se, per evitare gli effetti della disconnessione digitale, creiamo un altro tipo di disconnessione, aggraviamo il problema

Ai giornalisti che hanno iniziato a lavorare alla fine del secolo scorso non piace parlare di se stessi. Ed è bene che sia così. Ma se un collega te lo chiede, devi rispondere. Ed è quello che mi è successo la settimana scorsa a Milano, pochi minuti prima della presentazione di “Perché sono un uomo”.

Cosa ti ha colpito di più di Giussani? In che modo è ancora attuale? Dopo aver ascoltato le due domande, ho avvertito qualche secondo di imbarazzo. Non si può riassumere una vita in 40 secondi (le risposte non possono essere più lunghe per la televisione). Mi sono lanciato: «Mi ha colpito fin dall’inizio il fatto che Giussani non pretende di dirti cosa devi pensare o sentire, non vuole che tu acquisisca idee. Ti dà un metodo per fare un percorso umano».

Un altro collega che mi ascoltava mi ha posto una seconda domanda: «Ma questo metodo funziona ancora nell’era dei social network?» Ho improvvisato un’altra risposta di 40 secondi: «I social network fanno emergere il desiderio di essere guardati, di essere valorizzati. Spesso si esprime in modo inadeguato, ma è il desiderio energico e irriducibile di avere un’identità, di dire io».

Perché continuo a sentire così importante un metodo educativo basato sulla fiducia di distinguere ciò che rende la vita più umana? Marina Corradi, durante la presentazione del libro, ha ricordato con precisione l’educazione cattolica ricevuta dalle persone della nostra generazione: erano tutte regole. Lei se n’è andata, altri sono rimasti. Ma la formula era soffocante.

I nostri insegnanti erano buoni farisei. Ciò non significa che fossero ipocriti. Piuttosto il contrario. Il fariseo è un uomo che vuole che la fede dia forma, in un certo senso, alla vita. Ma non trova altro modo per farlo se non quello di rispettare la legge. Eravamo esperti di teologia morale. Per questo questo fa sorridere ironicamente quella fiducia infantile e immatura nelle regole che torna sempre.

Paolo Bricco, anch’egli durante la presentazione, ha parlato della differenza tra morale e moralismo. Non riesco a pensare a un modo migliore per spiegarlo che confrontare l’educazione che Corradi ed io abbiamo ricevuto nella nostra giovinezza e quella che deriva dalla fiducia nella capacità di giudizio e valutazione che i giovani portano dentro di sé. Nel primo caso, il soggetto, la persona, è già costituito con la sua propria misura. La morale è qualcosa di esterno, qualcosa che deve essere raggiunto. E l’incoerenza diventa un fallimento assoluto. Nel secondo caso, il soggetto si forma nel rapporto con la realtà. E la realtà attrae sempre e, paradossalmente, è sempre inafferrabile. In questo caso, l’incoerenza non è un muro invalicabile. La fiducia nel valore della ragione trasforma la moralità nella ricerca instancabile di una maggiore attrattiva.

E questo metodo funziona ancora nell’era dei social network? Più che mai. Il “capitalismo della sorveglianza”, il capitalismo delle reti, fa affari sfruttando l’attenzione. I social network utilizzati in modo improprio e l’iperconnessione digitale ci disconnettono dall’ambiente. Ecco perché ci lasciano incapaci e passivi. Ecco perché è più facile manipolarci. E, anche per questo, un tipo di educazione che ci disconnette non è all’altezza della situazione, anche se è con l’intenzione di “renderci buoni”. Se, per evitare gli effetti della disconnessione digitale, creiamo un altro tipo di disconnessione, aggraviamo il problema. L’ultima cosa di cui i giovani e gli adulti hanno bisogno in questo momento è un’agenda già pronta e iperprotettiva. Se creiamo bolle in cui ci viene detto cosa è giusto, cosa dobbiamo pensare e sentire, torneremo a isolarci dal rapporto con la realtà, che è l’unica cosa che permette a un soggetto maturo di svilupparsi.

Solo l’esperienza permanente di un impatto permanente con le cose, solo il giudizio fiducioso di questo impatto, sviluppa le strutture stabili del soggetto. Antonio Polito ha scritto qualche settimana fa che «distinguere il bene dal male è ovviamente una cosa importante, e gli adulti devono aiutare i giovani a farlo. Ma recitare loro come una cantilena il breviario del buon cittadino può sortire effetti opposti (…) Ci sono emozioni per così dire “naturali” negli esseri umani, in tutti gli esseri umani». Si tratta di farle emergere. E questo costringe noi vecchi giornalisti a parlare di noi stessi.

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