In un mondo in subbuglio bisogna sapere prendere atto dei cambiamenti e “ricalcolare il percorso”, come dice il navigatore delle auto, senza guardarsi indietro, disponibili anche a rimettere in discussione i riferimenti utilizzati per una vita intera.
Riflettendo su questo non ho potuto fare a meno di pensare ai dialoghi tra don Camillo e il Cristo del suo crocefisso, passaggi cruciali dell’opera “Mondo Piccolo” di Giovannino Guareschi. Come ebbe a scrivere lo stesso autore, “chi parla nelle mie storie non è il Cristo, ma il mio Cristo cioè la voce della mia coscienza”.
Don Camillo parla con il Cristo di quello che gli accade, mettendo a tema le vicende tristi e liete della vita quotidiana, sue e delle persone intorno a lui: la povertà, il lavoro, la giustizia sociale, la meschinità, la sete di vendetta e in generale il male procurato dagli uomini e quello che viene dalla natura, la politica locale e quella globale.
Guareschi percorre in lungo e in largo quella dimensione orientativa dentro di sé. Il dialogo di don Camillo con il Cristo è quello di un figlio con un padre a cui ha la libertà di chiedere tutto, di esprimere senza formalismi e finzioni tutto sé stesso.
Il linguaggio della “coscienza di Guareschi” espressa dal Cristo nei racconti è quello dei Vangeli. Non si impone con violenza e autoritarismo, ma partendo dall’osservazione dei fatti spinge don Camillo, spesso con ironia, a riflettere, a ragionare, utilizzando la verità che è dentro di lui.
Il dialogo interiore si mostra così potente che don Camillo cambia, si corregge e ha modo di accorgersi che la fede è il seme che non muore e rinasce dopo ogni tragedia, sconfitta, sconvolgimento. Per questo don Camillo accetta qualunque privazione e sacrificio, ma non rinuncia al dialogo con il suo Cristo in croce.
Forse le pagine più commoventi di tutto “Mondo Piccolo” sono perciò quelle in cui don Camillo, confinato in un paese di montagna per le sue intemperanze politiche, torna a prendere il suo Crocifisso e camminando per una notte intera sotto la neve lo porta sulla cima del monte.
Una riduzione intimistica della fede? Che quello di Guareschi non fosse un Cristianesimo “da sacrestia” è piuttosto evidente. E anche il suo personaggio principale, don Camillo, mostra una fede tutt’altro che privata.
È un’astrazione quella che divide il rapporto con Dio da quello che abbiamo con le persone. La qualità del rapporto con Dio dice della qualità del rapporto con le persone e viceversa. Non si possono dividere, perché la persona è una, unita.
Al di là di questo, il tema è quello del riferimento. Il rischio che vedo è lo svuotamento dell’autocoscienza personale, ma anche culturale, delegato a un’entità fuori di noi. Come non esistiamo senza relazioni, così non possiamo esistere senza un dialogo interiore. Quest’ultimo è fortemente in crisi.
In una recente intervista, Derrick de Kerckhove parla del pericolo di un’identità personale che tende a crearsi sempre più fuori di noi, anziché dentro. Osserva il sociologo: “Quando avevo 13 o 14 anni, cominciavo ad avere le mie idee, facevo le mie letture, mi confrontavo con gli amici, ma avevo già una coscienza interna di chi fossi. I ragazzi di oggi, invece, si prendono sul serio a condizione che siano conosciuti, visti, apprezzati, che ricevano like, commenti e così via. […] Il sé del ragazzo si svuota: l’interno del suo essere evapora nel discorso permanente dei social; il chiacchiericcio dei social media dà al singolo un sentimento di valore”.
Non c’è solo l’isolamento digitale a darci l’alibi di poter ignorare il nostro riferimento interno, ma anche dinamiche di gruppo non vissute con la giusta distanza critica.
È vero che nel rapporto con gli altri trovo me stesso, ma non lo trovo se non do il giusto ascolto al mio mondo interiore.
Credo che questo sia un momento in cui serve rallentare, fermarsi e recuperare questa dimensione. E nel frattempo continuare a lasciarci ispirare da Guareschi.
Non viviamo senza gli altri, senza una comunità prossima, e senza luoghi di appartenenza più ampi. Ma se questi luoghi non aprono a quei momenti di dialogo personale con noi stessi e con la verità che alberga in noi, si perde la strada, anche se si rimane in compagnia.
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