Pochi giorni fa l’europarlamento ha respinto – a maggioranza contenuta e non prevista – la bozza di nuovo regolamento elaborata dalla Commissione di Bruxelles riguardo l’uso sostenibile dei pesticidi in agricoltura: normativa imperniata sull’obiettivo di dimezzamento degli impieghi entro il 2030. Strasburgo è stato netto anche nell’escludere che la Commissione possa ripresentare un testo modificato.

Il passo ha destato sensazione: anzitutto perché l’europarlamento è sempre stato un luogo istituzionale sostanzialmente orientato alla transizione verde, al di là delle sue molte articolazioni politiche e nazionali. La rilevanza del passaggio è stata accresciuta dalla prossimità delle elezioni europee, ormai lontane solo sei mesi. E non è stato certamente un caso che lo stesso giorno, nella vicina Olanda, l’esito del voto anticipato sia risultato fortemente influenzato dalle politiche eco-energetiche Ue.

A capo della coalizione progressista (socialdemocratici e verdi) c’era infatti Frans Timmermans: fino a tre mesi fa vicepresidente di Ursula von der Leyen a Bruxelles con la delega alla transizione verde. E i commentatori non hanno mancato di sottolineare questa presenza fortemente divisiva di tecnocrate massimalista verde nell’analizzare l’exploit della destra di Geert Wilders (nuovo primo partito all’Aja, con un raddoppio dei parlamentari) e il buon risultato del neonato “partito degli agricoltori”. Quest’ultimo rappresentava alcune decine di migliaia di aziende zootecniche condannate alla chiusura dai ferrei obiettivi comunitari posti alle emissioni di biogas.

Se la politica europea sembra dunque iniziare a “sverniciarsi” di verde, segnali problematici giungono anche dai mercati finanziari globali: l’altro grande terreno di gioco della partita eco-energetica. Nel terzo trimestre dell’anno, il disinvestimento netto di 14 miliardi di dollari su 300 dai fondi ESG (vincolati in primis alla sostenibilità ambientale) non è stato lontano dal segnalare una storica inversione di tendenza. In parallelo, nello stesso periodo, i fondi ESG che hanno smobilitato o sono stati derubricati a “non etici” è stato superiore ai nuovi prodotti lanciati. Troppo forte – anche sul mercato del risparmio e dell’investimento istituzionale – la pressione contraria portata da più fattori concatenati.

La “guerra del gas” scatenata dalla crisi russo-ucraina e – in parte – i rischi di nuove guerre petrolifere rinfocolati dall’ennesima crisi mediorientale potevano teoricamente motivare un’accelerazione della transizione verso fonti rinnovabili già avviata dall’Europa (anche nei binari del Recovery Plan). Nei fatti l’ulteriore avvitamento geopolitico dello shock-pandemia ha reso evidente che il “New Green World” prenderà forma a ritmi più lenti ed entro orizzonti più circoscritti. Nell’immediato, certamente, le risorse pubbliche saranno in parte assorbite dal contrasto all’inflazione energetica sulle fonti fossili e in parte prevedibilmente dirottate su una diversa innovazione energetica, verso il nucleare di nuova generazione.

Nei giorni in cui il COP28 prende le mosse a Dubai in un clima di relativo disinteresse (le capitali del Golfo sono oggi molto più strategiche nel disinnesco di una potenziale crisi petrolifera) sta quindi materializzandosi sul fronte verde un singolare “cessate il fuoco”: non troppo dissimile dalle avvisaglie di stallo in Ucraina o dall’ancor fragile tregua a Gaza.

La transizione eco-energetica sta smettendo, da un lato, di essere un mantra ideologico-elettorale piuttosto che economico-finanziario. È altresì fuori di dubbio che in un Occidente che si va ritrovando attorno ai propri valori fondanti, l’impegno sul contrasto al cambiamento climatico e la ricerca di modi di produzione e consumo più sostenibili mantengono una propria forza assoluta, “costituzionale”. Nelle settimane in cui l’Ue sta decidendo l’aggiustamento della propria governance finanziaria, può quindi profilarsi come momento cruciale di democrazia reale un ripensamento politico-culturale ampio e aperto sulla transizione verde possibile, desiderabile, opportuno in Europa. E non sarà affatto un diversivo – ma anzi una riaffermazione della priorità – se la campagna elettorale per Strasburgo metterà a tema principale l’aggiornamento, l’evoluzione delle politiche eco-energetiche. Un nuovo euro-parlamento e una nuova Commissione ci potranno, ci dovranno lavorare fin dalla prossime estate. Quando – tutti lo sperano – in altre aree del pianeta altri “cessate il fuoco” potranno maturare in processi di ricostruzione e nuovo sviluppo pacifico.

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