La domanda dei ragazzi con cui iniziamo la lezione è di quelle pesanti: “Cosa c’è dopo la morte?”. Appena la scrivo alla lavagna dal fondo della classe si sente una voce: “Non c’è niente”. Mi giro e chiedo di ripetere dando le ragioni. “Prof, dopo la morte non c’è niente perché finisce tutto”. Capisco subito che sta dicendo una cosa di cui non è convinto. Parto dalla sua provocazione e chiedo a tutti: “Chi di voi desidera finire?”. Nessuno. “Come mai, se nessuno desidera finire, dobbiamo morire? La realtà ha previsto qualcosa contro un desiderio con cui tutti veniamo al mondo?”.
Si apre un dialogo serratissimo e commovente nel quale emerge tutta la potenza della vita. A un tratto, dopo varie opinioni dette e argomenti portati, tocco la questione per me decisiva: “E se ci fosse la possibilità che nulla vada perduto?”. Subito si crea un silenzio pazzesco, da pelle d’oca, perché ti accorgi che sono lì tutti. Li guardo. Occhi sgranati e immobili in attesa della risposta. Rilancio: “Ragazzi, vi accorgete di questo silenzio? Capite cosa sta accadendo? Siamo qui tutti, ora, fino in fondo. Perché?”.
Senza averlo programmato la domanda iniziale era stata capovolta. Anziché “cosa c’è dopo la morte?” stavamo affrontando la questione di “cosa vuol dire vivere?”. Infatti, se c’è la possibilità che nulla vada perduto, occorre che ci sia qualcosa che non deve essere perso. La domanda è rimasta aperta come provocazione per la settimana, ma quegli istanti di silenzio non mi escono dal cuore. E, insieme al silenzio, quella carica di attesa che ha incollato tutti a ciò che stava accadendo in classe tra di noi, prima ancora che alla domanda e alla risposta. Si può stare in silenzio in quel modo solo davanti a un avvenimento che riempie tutto di sé. L’unico rumore era quello della pioggia battente sui vetri.
Mi sono venuti in mente i silenzi di Nazaret, Betlemme, Gerico, Samaria, Gerusalemme… duemila anni fa. Uomini e donne davanti ai quali capitavano cose che riempivano di silenzio chiunque. Per strada, in casa, nel tempio, tutti i luoghi in cui Cristo era presente venivano abitati da quei silenzi, che continuano nella storia come i segni più discreti e potenti di Lui che parla e agisce ancora. Finalmente Lui. Quanto bisogno abbiamo di un silenzio così! Quando ci intasiamo di cose e parole, e capiamo che non aggiungono nulla al vivere, se siamo leali con noi stessi nasce il grido che un Altro faccia un passo avanti. E che questo Altro sia Lui.
Intanto suona la campanella e la lezione finisce. Torno a casa e penso alla domanda da cui partire settimana prossima: “cosa c’è prima della morte?”. Non vedo l’ora che arrivi la prossima lezione.
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