Vogliono sapere chi pensa di essere davvero quest’uomo. Nell’episcopio di Gerusalemme si è creato un certo allarmismo. Nei paraggi, c’è un uomo che sta scardinando un po’ tutto: usi, costumi, precetti e quant’altro. Pensa di essere un chissachì e loro, tutta gente che sa governare soltanto facendo i bulli, vogliono cercare di arginare questa fessura di luce che, spaventosamente, si è aperta in mezzo al muro granitico delle loro certezze.
Loro sono i sacerdoti e i leviti, cioè i “professionisti della Legge”: lui è Giovanni Battista, uno tra tanti, che non veste nemmeno come si dovrebbe vestire, che usa parole che non si dovrebbero mai usare. Che sparge scemenze dannose sul Messia: “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”. Si sentono offesi i curiali: “Cosa va dicendo questo pazzo? Figurati se il Messia è già in mezzo a noi: figurati se arriva e, prima, non manda una notifica a noi, che abbiamo i titoli per dirlo poi alla gente”. Il Battista, invece, è naif, leggermente vintage, incontenibile, ribelle: “Convertitevi, sta arrivando: il tempo sta per scadere!”. La gente, poi, accorreva infiammata da Giovanni e non dai sacerdoti e dai leviti: Giovanni, quando fissava negli occhi qualcuno, entrava a prendersi quello che di più nascosto c’era dentro l’anima. E questa cosa qui – il fatto che loro avessero il potere ma alla gente non gli importasse nulla del loro potere, perché non diceva nulla – arrecava in loro una depressione folle: era tutta gente risucchiata dal potere, allergica al popolo.
Vanno da Giovanni per rinfacciargli l’invidia più ecclesiale: “Chi credi d’essere, cafoncello?”. Giovanni era la prima riga di una pagina nuova. Loro erano quattro sacchi gonfi d’aria.
Diede loro risposta. La diede da uomo geniale qual’è un profeta. Non disse chi pensava di essere, ma disse loro chi era certissimo di non essere: “Io non sono il Cristo”. Poi, vista la loro insistenza in materia, andò giù pesante: “Non sono nemmeno Elia, neanche un profeta”. Il che, fatti bene tutti i conti, era dire: “Cosa volete sapere da me? Sapete cosa vi dico: chi mi ama mi segua, chi mi odia m’insegua”. Poi calò la ghigliottina: “Io sono voce di uno che grida (…) In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”.
Una sberla così, i curiali non se l’avevano proprio calcolata: “Proprio noi non lo riconosciamo? Abbassa le ali e ricordati che siamo noi che facciam le nomine”. Non s’accorsero che, pensando di sapere già tutto su Dio e i suoi misteri, non ascoltavano più le voci, non erano più attenti a guardare i piccoli dettagli feriali: governavano e basta, riempiendo il mondo di discorsi sciocchi, che generano scelte sciocche, che poi mostreranno al mondo il frutto della sciocchezza. Ch’è micidiale: “Voi non lo conoscete”. Alla faccia: proprio loro, che pensavano di essere gli unici a conoscere la Verità, uno arriva e, senz’alcun incarico ufficiale in curia, li inchioda al muro. Allo sbando.
Lui, invece, vede quello che succede da Dio: “Io non sono (…) colui che viene dopo di me” (cfr Gv 1,6-8.19-28). È una delle negazioni più accecanti e luminose della storia: “Io non sono, perché è Lui che è. Io, di lui, sono soltanto la voce”. Non era Gesù ma indossava la voce di Gesù. Pensava con la voce del suo Gesù: e alla gente bastava sentire la sua voce per calmare una tempesta in atto nei loro cuori. Da che mondo e mondo, il tono della voce dice sempre quello che sta al di là delle parole: la chiave di lettura della vita, almeno per metà, è nel tono della voce: la voce di Giovanni, ascoltare la voce di Giovanni era come ascoltare la voce della mamma, come guardare il cielo la mattina presto. Vennero, i leviti e i sacerdoti, per metterlo nel sacco.
Se ne tornarono ancora più avviliti di com’erano arrivati. Ma liquidarono il tutto alla loro maniera: “Tanto è matto. Raccomandiamo a tutti prudenza nell’invitarlo in parrocchia”. La prudenza, per loro, era il freno a mano: per Giovanni Battista la prudenza era imparare a usare le marce. Giovanni, nel frattempo, si sgranchiva gli occhi come un corridore le gambe prima della corsa.
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