Diego, nato in Argentina e residente a Tel Aviv da quarant’anni, parla lentamente. Fatica a trovare le parole per descrivere il dolore causato dal rapimento di sua sorella e di due delle sue nipoti. Il cognato è morto il 7 ottobre. Una settimana prima aveva trascorso il sabato nel kibbutz della sua famiglia, a un chilometro da Gaza. Non poteva immaginare che ci fosse qualche rischio. Con voce sommessa assicura che i terroristi vogliono la morte solo per amore della morte. E ha ragione. Israele è un Paese sotto shock. Bandiere con la stella di David sventolano sui balconi, sulle auto. Le foto dei rapiti sono dappertutto. C’è una parte di Israele che, come Diego, pensava di vivere in un Paese sicuro.

La Città Vecchia di Gerusalemme è deserta. Molti dei negozi del quartiere cristiano non hanno aperto i battenti. Nessuno nel piazzale della Chiesa del Santo Sepolcro. Meir Margalit, ex consigliere comunale di Gerusalemme per il partito Meretz, confessa di essere molto triste nel vedere la Città Santa in questo stato. Margalit mi indica le case nel quartiere cristiano acquistate dai coloni di organizzazioni come Ateret, dove sventolano bandiere israeliane. Le hanno comprate in operazioni spesso poco limpide, in cambio di un sacco di soldi. I coloni si sono abituati a portare armi.

Margalit mi dice che la sicurezza e la pace in cui Diego spera non arriveranno mai finché Israele continuerà a rispondere come ha fatto agli attacchi del 7 ottobre. Se non c’è speranza per i palestinesi, non c’è speranza per gli israeliani. L’ex consigliere denuncia l’uso del nome di Dio per commettere violenze, per rivendicare il controllo esclusivo della Terra Santa. Gli piace ricordare i profeti come Geremia e Isaia. Solo gli Stati Uniti possono costringere Netanyahu a cercare la pace.

Israele è un Paese sotto shock. Gerusalemme è deserta. E arrivare a Betlemme è più difficile che mai. La maggior parte dei passaggi sono chiusi. I tassisti formano lunghe code per far salire i pellegrini che non arriveranno mai. La Basilica della Natività accoglie solo i cristiani palestinesi della zona. Alcuni dicono di avere paura. Non delle bombe, ma dei coloni in Cisgiordania. Temono di non riuscire a tornare a casa in tempo a causa di qualche posto di blocco dell’esercito israeliano. Vivono sotto un coprifuoco imposto dai fatti.

Maddalena esce dalla Messa. Spiega che sta diventando un Natale diverso: non c’è l’albero, non ci sono le luci. Quasi 20.000 persone sono morte. Ma non si lamenta. E dice anche che questa è un’occasione, che quando non si può festeggiare il Natale come in altri momenti, tutto diventa più essenziale e si guarda di più il bambino Gesù e ci si rende maggiormente conto di quello che sta succedendo. Parliamo a 50 metri dal luogo in cui Maria avvolse suo Figlio in fasce. Anche prima di quel momento c’era stata una guerra, quella tra Marco Antonio e Ottaviano per impadronirsi dell’impero. Poi c’è stata un’altra guerra, la guerra giudaica, la guerra di coloro che volevano portare il Messia con le armi. Ma il segreto del mondo, la pace del mondo e del cielo, era in una grotta, nell’attesa di una Madre che, finalmente, avrebbe conosciuto il volto di suo Figlio.

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