Come ogni anno, la recita di Natale è venuta benissimo. Ognuno ha interpretato il proprio ruolo alla perfezione: dal negoziante che ha venduto i regali alle cene sociali, dai piccoli gesti di solidarietà fino agli immancabili messaggi d’auguri. È andata così bene che non è stato necessario neppure fare troppe polemiche sui presepi o sui simboli della tradizione: ogni cosa ha concorso – meravigliosamente – a far dimenticare il festeggiato e il motivo della festa. Natale va così: la gente ci carica talmente tante cose addosso, che il contenuto della festa – i tedeschi lo chiamerebbero was – scompare, annega.

Eppure, le feste cristiane hanno uno scopo molto semplice: scoprire qualcosa di più su Cristo. E questa scoperta non sta in un nuovo libro, ma accade nella storia. Infatti, non esiste Natale senza Pasqua, non esisterebbe la possibilità di celebrare il Natale – e capire qualcosa di nuovo su Cristo – se quello stesso Cristo non fosse ancora presente e operante ora. Solo perché quel bambino è ancora oggi una presenza viva è possibile ogni anno, ogni istante, conoscerlo un po’ di più. Il Natale, dunque, o avviene in un rapporto – nel rapporto con Lui – oppure è solo una grande abbuffata, intrisa di molti moralismi, prima della sbornia di Capodanno.

Il vangelo che la Chiesa fa leggere ogni anno durante la messa di mezzanotte ci aiuta a capire meglio. Esso inizia raccontando l’ordine di Augusto di effettuare un censimento di tutta la terra. È bene ricordare che i testi biblici non sono soltanto resoconti storici, ma – nell’esegesi dei Padri della Chiesa – diventano spesso testi da leggere a un livello più profondo, quasi piccoli midrash ebraici. La terra, nell’Antico Testamento, è spesso associata al desiderio dell’uomo. Censire il desiderio dell’uomo significa misurarlo, renderlo finito. Il racconto della nascita di Gesù prende le mosse da un potere che intende definire e delimitare il desiderio dell’Io. Siccome il desiderio che io sia amato è troppo grande, siccome il desiderio che l’umanità pratichi la giustizia è troppo grande, siccome il desiderio di vivere secondo verità è troppo grande, allora il potere degli uomini si incarica di ridurre quel desiderio, trasformando la vita in una somma di piccoli obiettivi da raggiungere: al posto dell’Infinito, la perdita di peso, la nuova casa, la laurea, la media del 9, il successo. E tutto questo accade “quando Quirinio era governatore della Siria”. Publio Sulpicio Quirinio era un homo novus, uno che non c’entrava niente con il sistema aristocratico del potere repubblicano.

È interessante e singolare: spesso nella storia, quando qualcosa di nuovo arriva al potere e si mostra come il futuro – la rivoluzione che tutti attendono – questo “nuovo Messia” (che può essere oggi la tecnologia o i nuovi media) chiede sempre in cambio una cosa: che il desiderio umano sia ridotto, circoscritto. E, commenta il vangelo, tutti erano in viaggio per adempiere a quella richiesta. Il quadro è quindi emblematico: c’è un’umanità che sta riducendo il proprio desiderio umano, che accetta un potere che la tolga dalla posizione vertiginosa dell’attesa del cuore.

Ma, accanto a questa umanità, c’è qualcun altro: Giuseppe. Giuseppe è l’ultimo discendente di Davide, è quel che resta del popolo di Israele, e inizialmente sembra che anche lui faccia lo stesso viaggio. Il racconto, però, ci dice che lui fa un’altra cosa: sale verso Gerusalemme. La città santa degli ebrei non era soltanto un luogo geografico: essa rappresentava il cuore umano. Non si tratta qui di una rappresentazione psicologica del cuore, ma sacra: Gerusalemme è il cuore umano toccato da Dio. Mentre tutti sono in viaggio per delimitare il loro desiderio, Giuseppe è in viaggio verso il cuore di quel desiderio. E questo viaggio avviene con meta Betlemme e insieme a Maria, ossia dentro una grande attesa – Betlemme è il simbolo della promessa fatta alla casa di Davide – e con un mistero. Maria, infatti, è la sposa misteriosa di Giuseppe, la donna che ha rivelato al marito di attendere un figlio dallo Spirito Santo.

Ecco tratteggiato l’altro viaggio che Dio suscita mentre tutti sono diretti a farsi censire: Egli desta la storia di un uomo che si dirige verso il proprio cuore, che non riduce la propria umanità, ma la guarda fino in fondo, consapevole della promessa che gli è stata fatta e del mistero che lo circonda. È commovente come il vangelo dica che questa condizione di apertura totale alla promessa e al mistero diventi il luogo dove si compiono i giorni del parto. È lì che nasce un’umanità nuova, non più figlia di un desiderio ridotto, ma dell’attesa infinita del nostro Io e del mistero di Dio. Cristo emerge come il punto dove la domanda inesauribile dell’uomo incontra il Mistero, dove il Mistero diventa compagnia, diventa amicizia, diventa presenza. Da adesso la vita non sarà “tutta rose e fiori”, ma – questo è il Natale! – smetterà di essere abbandonata a se stessa. L’amore non sarà più in balia di sé, l’amicizia non sarà più in balia di sé, il dolore o la delusione non saranno più emozioni senza motivo, ma tutto potrà trovare senso nel rapporto con quel bambino.

Il colpo di scena finale è, tuttavia, ancor più incredibile. Quando il bambino nasce, Maria lo avvolge in fasce. Sono le fasce della croce, le fasce in cui si avvolgono i morti. Quel bambino non è un mago, ma è l’inizio di un cammino. Un cammino dove si piangerà, dove si faticherà, dove a volte non si capirà niente. Tuttavia, è un cammino. Infine “lo depose nella mangiatoia”. San Francesco, 800 anni fa, volendo riprodurre la natività, chiese soltanto una mangiatoia. Perché la mangiatoia è la Chiesa, la mangiatoia è l’altare dell’Eucaristia. Quel bambino non è nato e poi morto. Quel bambino è nato per rimanere con noi nella Chiesa. C’è un’umanità nuova che Dio fa nascere per noi, un’umanità che prende sul serio tutto quello che siamo, che è compagnia, che è cammino e che resta accanto a noi nei volti vivi della Chiesa e nel sacramento dell’Eucaristia.

Il giorno di Natale, che dura ben otto giorni, ci è dato per entrare di più dentro questo mistero, per diventare di più amici di quel bambino. Non importa come abbiamo vissuto fino a oggi, non importa la nostra distrazione, non importa se la recita cui tutti partecipano in questi giorni ci aveva allontanato dalla percezione della festa. Quello che conta è che Lui c’è. E che, senza alcun nostro merito, ha preso la decisione più inaudita e ostinata della storia. Quella di aspettarci e di volerci incontrare. Alla libertà di ciascuno spetta solo lo spazio di una risposta. Buon Natale, amici!

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