Negli ultimi mesi si è parlato molto di sanità, e giustamente se ne parla ancora, ma la discussione è stata (e permane) purtroppo parziale. Da una parte si è dibattuto a lungo, ed in maniera contrapposta, sul livello del finanziamento, sulle criticità legate al personale (infermieri e medici), sui problemi dell’emergenza-urgenza, sulla medicina di base (Mmg, Pls), sulle difficoltà nella realizzazione del Pnrr, sui lunghi tempi di attesa per l’accesso alle prestazioni, e via discorrendo.

Problemi reali, seppur parziali, che potremmo raccogliere sotto il titolo (se può aiutare a capire) di “sanitarizzazione della sanità”, cioè di affronto della salute e della sanità con un approccio esclusivamente sanitario. D’altra parte, soprattutto da queste colonne, si è avanzata più volte l’ipotesi che più che di trattare i singoli problemi c’è bisogno di una “visione”, di un ripensamento globale e profondo del Ssn, e questa visione (si aggiunge oggi) non può essere solo sanitaria ma deve allargarsi e comprendere almeno anche la parte “socio-sanitaria”. Per diversi aspetti si dovrebbe sconfinare anche nel sociale, ma per il momento accontentiamoci di inglobare nella riflessione l’assistenza socio-sanitaria.

Non occorrono analisi particolari per rendersi facilmente conto di come l’approccio sanitario, assolutamente e indiscutibilmente necessario, è del tutto incompleto: è esperienza di tutti i giorni constatare che nella vita quotidiana di molte persone occorrono molti servizi ed attività che fanno parte del’assistenza socio-sanitaria e che abbisognano di personale specifico formato allo scopo. Per migliorare la nostra salute, o per curarla quando in vari modi è offesa, si presentano una miriade di situazioni in cui occorre farsi carico di pazienti fragili per i quali l’intervento sanitario è solo una parte della soluzione (o dell’attenuazione) del problema.

E il pensiero non va solo al tema delle badanti, ma più in generale al concetto di “livelli essenziali di assistenza” (assistenza domiciliare integrata-Adi, assistenza socio-sanitaria residenziale e semi-residenziale, ecc.: capo IV del Dpcm che ha definito i Lea), alla presa in carico della persona, alla valutazione multidimensionale dei bisogni, e così via. Si tratta di servizi spesso poco misurabili con le statistiche, perché per loro natura possono sfuggire alle rilevazioni e ai flussi informativi correnti (e di questo aspetto, almeno, grave colpa risiede proprio nel Ssn stesso e nelle sue strutture di governo) e rientrano in attività che fanno parte dell’assistenza domiciliare e di prossimità, del gratuito, della solidarietà (familiare, sociale), per sconfinare talvolta nel lavoro nero.

Certo le attività strettamente sanitarie sono decisamente preponderanti (nella regione dove vivo, ad esempio, rappresentano più del 90% del fondo sanitario regionale) rispetto a quelle socio-sanitarie, ma una delle ragioni di questa diversa rilevanza va ricercata proprio nel fatto che buona parte dell’assistenza socio-sanitaria sfugge alla contabilità sanitaria e alle sue statistiche.

Occorre allora sviluppare una visione della sanità più completa, che vada oltre l’intervento esclusivamente sanitario, superando l’idea dell’esistenza di un parente povero (la socio-sanità, appunto) che tale deve rimanere, parente povero relegato spesso al di fuori del Ssn tra le braccia amorose della famiglia (e delle sue, tante o poche, risorse), del volontariato, del no-profit, e di quello che più in generale prende il nome di terzo settore.

L’assistenza socio-sanitaria ha molto da insegnare alla sanità ed allo sviluppo di una visione non solo sanitaria del Ssn. In questa direzione molto utile è il recente rapporto prodotto da Istat sulle strutture residenziali socio-assistenziali e socio-sanitarie esistenti nel nostro paese al 1° gennaio 2022, frutto di un’indagine che l’istituto nazionale di statistica conduce annualmente sull’offerta di tali strutture e sulle tipologie di utenti in esse assistite. Certo non è tutta l’assistenza socio-sanitaria, ma è di sicuro una parte molto rilevante e più facilmente rilevabile e documentabile. Da questo rapporto apprendiamo che:

– i presidi residenziali attivi in Italia al 1° gennaio 2022 sono più di 12mila con oltre 400mila posti letto (7 ogni 1.000 abitanti), con un’offerta maggiore nel Nordest del Paese (10 ogni 1.000 ab) e molto minore al Sud (3 per 1.000);

– i lavoratori impiegati sono più di 340mila, a cui vanno aggiunti oltre 30mila volontari e 4mila operatori del servizio civile; l’11% dei quasi 380mila lavoratori è straniero (2 su 3 con cittadinanza extraeuropea);

– viene fornita tutela ed accoglienza a persone con varie forme di disagio: 40% dei letti per l’accoglienza abitativa, 40% per la funzione socio-educativa, 15% per supportare l’autonomia dei propri ospiti; anche se queste percentuali sono molto variabili tra territori;

– nel 45% dei casi le strutture sono in carico ad enti non-profit, nel 24% ad enti privati, nel 19% ad enti pubblici, e nel 12% ad enti religiosi.

Tralasciamo molte altre notizie perché poco rilevanti per questo contributo, ma è facile prevedere, dalle tipologie di soggetti accolti (prevalentemente anziani) e dai bisogni che sono in aumento (malattie croniche), la direzione che questo comparto prenderà nei prossimi anni: aumento, aumento, aumento.

A parte la solita replicazione della differenza Nord-Sud che ormai si registra in tutti i settori e che non si smentisce anche in sanità, molti sono gli spunti che l’assistenza socio-sanitaria in generale (ed i dati riportati in particolare) offre per la formulazione di una visione per il Ssn:

– il ruolo del non profit e del privato (laico o religioso);

– il ruolo del volontariato e delle famiglie, comprese le risorse economiche che da queste vengono aggiunte;

– il ruolo della prossimità, con il favore dato ad interventi che favoriscano la permanenza delle persone assistite al proprio domicilio;

– il ruolo della sussidiarietà per caratterizzare localmente (modalità, procedure, strumenti) le iniziative per l’affronto del bisogno socio-sanitario;

– ma soprattutto la focalizzazione sulla messa al centro della persona; sui percorsi assistenziali integrati fondati sulla valutazione multidimensionale dei bisogni e sul progetto di assistenza individuale (Pai) e non sulle prestazioni (isolate) da erogare; sulla presa in carico del soggetto fragile, certo con il supporto di tutti gli erogatori di prestazioni ma avendo come punto di partenza la persona e non l’offerta dei servizi.

Quindi: solidarietà, sussidiarietà, prossimità, accoglienza, gratuità, non profit. Quanti insegnamenti dall’assistenza socio-sanitaria per superare e completare una visione solo sanitarizzata della salute e dell’assistenza!

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