Il 2022 si è chiuso in Italia con un (leggero) aumento mensile degli occupati in dicembre – anche fra i dipendenti a tempo indeterminato – e un tasso di occupazione in rafforzamento al 60,5%. Cresce anche però il numero di quanti si dichiarano disoccupati (e il tasso rimane a un poco confortevole 7,8%, superiore del 6% medio Ue in novembre). Ed è su questo sfondo che dall’inizio del 2023 hanno preso a moltiplicarsi gli annunci di licenziamenti in blocco: dai 250 rider di Glovo ai 472 dipendenti di Safilo, storica occhialeria bellunese; passando per nomi meno noti come la multinazionale industriale Jabil (190 esuberi in provincia di Caserta) o la metalmeccanica Dema-Cam (130 posti a rischio in provincia di Benevento). Al di là del cauto ottimismo del Fmi – che ha leggermente rialzato le stime di crescita globale nel 2023 – la crisi geopolitica (seguita alla “disruption” portata dalla pandemia) e soprattutto l’inflazione energetica stanno minando la fiducia delle imprese. Il brillante +3,9% del Pil italiano nel 2022 è stimato in forte decelerazione (+0,6%) quest’anno e in modesta ripresa (+1%) nel 2024.

In Italia sta licenziando anche Meta: sebbene la casa madre di Facebook, Whatsapp e Instagram abbia ridotto a 12 i tagli inizialmente previsti a 25. Certamente una goccia nel mare degli 11mila “layoffs” decisi da Menlo Park a fine anno: apripista di un “maxi-licenziamento collettivo” da 50mila jobs condiviso con Amazon, Microsoft e Google. Ma anche un gigante “old tech” come Ibm non è riuscita a evitare una cura dimagrante di 4mila posti. Wall Street e la City continuano a non perdonare: nel 2022 i listini azionari hanno bruciato 25mila miliardi di dollari di valore (le sole Amazon e Apple hanno perso più di 800 miliardi a testa). E mentre il  rialzo dei tassi in corso prospetta nuovi “sgonfiamenti” delle quotazioni, a Mark Zuckerberg, Jeff Bezos & C. non resta che imbracciare il brutale machete di sempre. Per di più la disoccupazione, oltre Atlantico, è ancora ai minimi: 3,5% in dicembre. Un segnale in sé preoccupante per la Fed, che ha la piena occupazione fra i suoi obiettivi istituzionale, ma non separata dal controllo dell’inflazione. E il ritmo della crescita dei prezzi è alla base di una politica monetaria ancora restrittiva: con il fine di “raffreddare” il ciclo; anche a costo di un (brutale) aumento della disoccupazione; quando mancano ancora 18 mesi alle presidenziali.

Lo stesso sentiero sta seguendo la Bce nell’Eurozona: peraltro più colpita degli Usa dagli effetti collaterali della guerra ucraina condotta dalla Nato. Ed è in questo quadro che – esattamente com’è stato il Covid – la crisi geopolitica sta diventando emergenza socio-economica interna ai singoli Stati. Un’emergenza aggravata dalle divisioni ri-emergenti all’interno dell’Ue e fra Europa e Stati Uniti su questioni economico-strategiche come gli aiuti di Stato, rispetto alle quali la pandemia prima e l’aggressione russa a Kiev poi hanno funzionato da catalizzatori.

Il lavoro torna a essere il punto di caduta ultimo di ogni crisi: anche di quella in corso. E quando si fa strada nei titoli dei media, come usano dire gli economisti, “è per restarci”.

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