La premier Giorgia Meloni ha prospettato una politica di stimolo del risparmio nazionale in direzione dei titoli del debito pubblico nei giorni in cui il commissario Ue agli Affari economici, il “dem” italiano Paolo Gentiloni, ha avvertito che non ci potranno essere rinvii per il ripristino dei parametri di stabilità economico-finanziaria, sospesi da tre anni causa Covid. Le due prese di posizione non sono direttamente collegate, ma sembrano parlarsi in misura non marginale.

La Premier ha registrato in tempo reale che lo storico giacimento di risparmio nazionale resta tanto ricco quanto inutilizzato nei “materassi” di milioni di italiani. L’ultimo dato Abi è fresco di ventiquattr’ore: a fine gennaio erano 1.809,7 i miliardi detenuti  da famiglie e imprese in depositi bancari  (2014,17 miliardi comprese le obbligazioni bancarie). È un “tesoro” in lieve calo mensile su fine 2022 (-1%), ma ancora prossimo al picco del luglio scorso (1.873,1 miliardi i depositi) e nettamente superiore al gennaio 2020 (1.562,8 miliardi) e al gennaio 2021 (1.745 miliardi, nel pieno dell’emergenza pandemia). Quindi: l’inflazione – improvvisamente esplosa a doppia cifra principalmente a causa della “guerra del gas” attorno all’aggressione russa all’Ucraina – non ha affatto spinto gli italiani ad abbandonare la preferenza per la liquidità precauzionale. Anzi: il rischio di svalutazione da aumento dei prezzi (ancora 10,1% in gennaio) continua a essere estesamente giudicato inferiore al rischio di investimento sui mercati attraverso gli strumenti di asset management usualmente offerti al “retail”.

La platea delle famiglie ha mostrato, viceversa, di rispondere con interesse alla rivitalizzazione dell’offerta di BTp: ad esempio nella configurazione “Italia” (con meccanismi di  protezione dall’inflazione). In tale segmento possono essere senz’altro ricomprese anche le nuove obbligazioni Eni legate alle strategie di sostenibilità: un’emissione “corporate” – ma assimilabile a una di titoli sovrani a lungo termine – ha riscosso un successo clamoroso (10 miliardi a riparto fra 300mila sottoscrittori, un record in Italia per un bond destinato in unica tranche ai soli risparmiatori individuali). Nelle ultime settimane il Mef ha ricominciato a emettere anche BoT: a rendimenti nominali (3%) che – come quelli dei BTp – sono lontani dall’offrire all’investimento una reale copertura dall’erosione inflattiva; ma riscoprono certamente una bassa valutazione del rischio-emittente pubblico che sembrava dimenticata. Il rialzo dei tassi – deciso dalla Bce per contrastare il ritorno dell’inflazione – ha quindi mostrato di funzionare da scintilla e catalizzatore per un circuito finanziario “sovrano”: fra una Repubblica (molto) indebitata – finora “a tassi zero” – e il risparmio privato degli italiani, che l’inflazione ha spinto in zona di rendimento sempre più negativo  È su questa interfaccia – quella fra risparmio nazionale e debito nazionale (pubblico ma anche privato) – che il Governo sembra intenzionato a intervenire con incentivi e premi fiscali (anche ad esempio con garanzie e agevolazioni ai Pir, al fine di canalizzare finanza verso le piccole e medie imprese).

È vero che lo spread (il vero indicatore del rischio-Italia) resta in zona di sicurezza (sotto i 200 punti) dall’insediamento del Governo Meloni principalmente per il mantenimento degli “scudi” della Bce attorno ai debiti pubblici dei Paesi più fragili. Nel frattempo il varo del Recovery Fund ha garantito a tutti i Paesi Ue una fonte di importante “extra-indebitamento”, sostanzialmente mutualizzato a livello europeo. Nel frattempo la sospensione dei parametri Ue su debito e deficit pubblici rispetto al Pil ha disattivato le procedure di allerta e di correzione/sanzione previste dai Trattati di Maastricht. Ma questa fase – come ha confermato Gentiloni – si va definitivamente chiudendo.

Dal 2024 i 27 Paesi-membri (a cominciare dai 20 aderenti all’euro) dovranno tornare a rispettare regole finanziarie comuni. Quali, tuttavia, non è ancora noto: la loro definizione sarà oggetto di una serrata negoziazione nel Consiglio Ue (il confronto è iniziato nel summit di una settimana fa, ufficialmente su Ucraina e migranti). Ciò che appare tuttavia probabile – nello schema di base predisposto dalla Commissione di Bruxelles – è l’apertura di una fase transitoria: di un nuovo percorso pluriennale di convergenza verso i nuovi parametri, in parte assimilabile alla “rincorsa” dai Trattati dal 1991 al debutto dell’euro nel 1999.

Su questo sfondo non ci sono dubbi che l’Italia sarà prevedibilmente chiamata a impegni importanti per ridurre in misura strutturale il suo debito: che a fine 2022, secondo stime, era al 146% sul Pil (rispetto a una media Ue del 95%) pur in calo di 10 punti rispetto a fine 2020. In cifra assoluta il fardello è pari a 2.771 miliardi: un volume confrontabile sia con i depositi “congelati” in banca (anche se a presidio di crediti in aumento verso le imprese), ma soprattutto con la ricchezza finanziaria complessiva delle famiglie (oltre 5.200 miliardi secondo dati recenti, al netto delle attività immobiliari).

L’Italia è solvibile, più di altri Paesi: è l’argomento con cui l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti tentò (vanamente) di contrastare – nella drammatica estate 2011 – gli attacchi via spread al debito italiano e quindi le mazzate dell’austerity Ue. Oggi un nuovo Governo di centrodestra mostra di voler riprendere quelle orme. E le prime obiezioni macroeconomiche – anzitutto il rischio di sindrome giapponese”, di depressione finanziaria a debito pubblico nazionalizzato – possono risultare anche meno insidiose di quelle rinnovate da da mercati e tecnocrazie.

L’intera architettura finanziaria dell'”Europa di Maastricht” – a cominciare dalla moneta unica – è stata costruita sulla fiducia aprioristica nella finanziarizzazione globalizzatoria dell’economia. La “libera circolazione dei capitali alla ricerca meritocratica del miglior rischio/rendimento sui mercati” è stata posta come assioma apparentemente indiscutibile. Una “fine della storia” che, tuttavia, ha retto male alla prova: certamente nel 2008. E nel 2023 la stessa globalizzazione “irreversibile” è stata brutalmente messa in discussione dalla crisi geopolitica. Quando perfino il presidente Joe Biden sta lottando al Congresso Usa per sfondare il tetto all’indebitamento pubblico (in un Paese noto per la propensione all’indebitamento privato) la partita italiana dei BTp “sovrani” non appare dunque né periferica, né elementare.

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