Paola Cigarini, emiliana, lavora da tanti anni al Centro Educativo João Paulo II nella favela degli Alagados a Salvador, Bahia. Laddove le autorità pubbliche abdicano alla loro responsabilità di fronte alla condizione sociale proibitiva, rinasce dal basso un’educazione dell’io che genera uomini ricchi di speranza e futuro.

La favela chiamata degli Alagados nella periferia di Salvador, capitale dello Stato della Bahia, fino alla fine degli anni ’80 era conosciuta per la grande quantità di abitazioni in palafitta, costruite dalla gente arrivata dalle zone rurali verso la città in cerca di migliori condizioni di vita. Le palafitte non avevano servizi igienici ed erano frequenti molte malattie, fra cui il colera. La Fondazione AVSI, in seguito con l’appoggio della Banca Mondiale, attuò all’epoca diversi progetti di riqualificazione urbana. Da una caritativa locale era intanto nato anche un asilo per i bambini della favela.

“Sono stato uno dei primi studenti, perché ho iniziato a frequentare le attività di dopo-scuola quando ancora erano presso lìAsilo João Paulo II, nel 1998, in una piccola stanza dove stavamo tutti pigiati insieme”, ricorda Williams, ex studente, 35 anni.

“Ma questi bambini dopo l’asilo dove vanno? Chi si occupa di loro?”. Questa domanda è stata posta nel 1998 da Angelo Abbondio e sua moglie Fernanda, una coppia milanese toccata dall’incontro decisivo e dall’amicizia con don Luigi Giussani, in visita a Salvador. Attraverso la loro Fondazione Umano Progresso, i coniugi italiani hanno dato vita nel 1999 a un centro educativo intitolato a Giovanni Paolo II con lo scopo di offrire un luogo sicuro e bello ai ragazzi in modo da non lasciarli per strada nell’orario post- scolastico, dato che gli adulti per lavorare lasciano il quartiere presto alla mattina e tornano molto tardi alla sera. Ancora oggi, oltre a offrire il pranzo a tutti gli alunni, al centro educativo sono proposte attività di dopo-scuola, lettura e scrittura, matematica, portoghese e molte altre attività educative legate all’arte e alla storia locale, nei due turni opposti alla scuola (mattutino e vespertino). Nel 2022 è iniziato un progetto di informatica e robotica, con l’obiettivo di rendere famigliare la tecnologia ed è stato inoltre proposto un corso di estetista, a cui si sono iscritte tantissime ragazze.

Dal 2014, è in corso un progetto di sport, che coinvolge 400 bambini, ragazzi e giovani in attività di calcio, basket, pallamano, karatè e danza. Negli sport collettivi le squadre partecipano ai campionati scolastici delle scuole private della città, permettendo ai ragazzi/e di incontrare i coetanei di altre classi sociali a testa alta, a partire da un’attività che amano. La chiesa cattolica Jesus Cristo Rescuscitado, costruita sempre con l’aiuto della Fondazione Umano Progresso, e i preti missionari delle diocesi di Milano e Cremona completano la presenza educativa del Centro.

Il centro educativo non ha certo risolto tutti i problemi della regione di Alagados. I dati dell’Atlante dello sviluppo umano del RMS (PNUD) del 2021 rivelano che il 42,5% della popolazione di età compresa tra 18 e 24 anni ha meno di otto anni di studio, con una media di studi in questo pubblico equivalente a 6,7 ​​anni. La disoccupazione in questa fascia di età è di circa il 69,9%. La comunità è composta per il 75% dalla popolazione povera, il 41,9% degli occupati ha terminato solo le scuole elementari, l’11,6% delle donne tra i 15 e i 17 anni ha già figli e il 46,5% dei bambini è in famiglie con un reddito inferiore a metà del salario minimo, con un reddito medio pro capite di circa R$ 149,50 (30 euro circa).

E allora, qual è lo scopo di tutto questo impegno?

Continua Williams: “Quando è stato costruito l’attuale centro educativo, che ai nostri occhi era bellissimo, un sogno, dall’asilo ci siamo trasferiti là assieme a molti altri bambini che hanno iniziato a frequentare. Si cantava, si suonava, si imparava a leggere, a scrivere, a fare le attività che venivano insegnate a scuola. Ero un bambino molto difficile, ribelle, senza regole, ne inventavo una ogni giorno. Ho imparato a convivere, ad avere un rapporto migliore con le persone. Oggi non posso che ringraziare, perché l’uomo che sono oggi lo devo a queste persone, che spesso hanno investito anche molto tempo della loro vita privata per dedicarsi ai bambini e agli adolescenti del centro educativo. Ora sono sposato e mio figlio, che ha 9 anni, frequenta anche lui il centro educativo”.

“Io ho fiducia e tranquillità quando sono al lavoro sapendo che mia figlia è al centro educativo, perché tira via i bambini e ragazzi dalla strada, dando educazione e buoni insegnamenti”, dice Gleide, madre di un’alunna attuale.

“Oggi sono professore di educazione fisica e lavoro nel progetto di sport del centro educativo. Sono stato un alunno del centro educativo e voglio restituire tutto il bene che ho imparato qui, il contributo educativo che ho ricevuto per diventare oggi un professionista e la persona che sono diventato”, speiga Nelson Ramos, 28 anni, professore di educazione fisica del centro educativo.

In questi anni abbiamo imparato che davvero la grande risorsa anche di fronte a situazioni realmente critiche è l’io di ciascuno. Sembra un nulla, ma è tutto. Per questo il nostro compito principale all’interno della nostra opera è fare in modo che “la casa” esista e sia aperta a tutti, ovvero preservare il centro educativo come luogo continuo di educazione, di accoglienza, di amore al prossimo. L’educazione intesa come un cammino condiviso, fatto di parole, gesti, tempo speso assieme, esperienze dove si imparano a guardare e giudicare le cose, ad avere una posizione personale, ad apprezzare ciò che é buono, vero, bello e saperlo distinguere da ciò che non lo è. Solo il camminare assieme può vincere la violenza, che è latente in ciascuno di noi, e aiutare ad affrontare la vita.

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