Un anno fa, a Przemyśl, al confine tra Ucraina e Polonia, pensavo che la marea di donne e bambini che lasciavano il loro paese, traumatizzati dalle prime bombe e dalla separazione, non sarebbe mai più tornata. Un anno fa pensavo, come molti, che Kiev fosse a poche ore dalla caduta. Mi sembrava, come a molti, che gli ucraini non potessero resistere all’esercito di Putin.
Un anno dopo, 19 milioni di ucraini hanno lasciato il loro Paese, ma 11 milioni sono tornati. Ce ne sono otto milioni in Europa, è la più grande crisi di rifugiati dalla Seconda guerra mondiale. Ma molti escono ed entrano perché gran parte dell’Ucraina ha resistito. Ci sono sicuramente 300.000 vittime da entrambe le parti, tra morti e feriti: la metà di quelle che ci sono state in Sira in dieci anni. Siamo di fronte a una tragedia difficile da immaginare.
L’Ucraina non è caduta. L’offensiva invernale dell’esercito russo a est non è riuscita a rompere la linea difensiva. La guerra, per il momento, è in stallo. I russi non hanno abbastanza munizioni, hanno perso molti soldati e quelli che combattono non sono né ben preparati, né ben motivati. Ma la situazione può cambiare in sei o sette mesi. Questo è il momento di cui Mosca ha bisogno affinché la sua industria militare rifornisca in modo soddisfacente il fronte. Da qui all’autunno i molti russi mobilitati saranno pronti a combattere. Se non c’è vittoria prima, il conflitto ha buone probabilità di diventare cronico.
Speravamo che il piano di pace presentato dalla Cina potesse contribuire almeno a raggiungere un cessate il fuoco. Ma il piano di Pechino non è un piano di pace ed è un buon esempio della posizione dei “non allineati”, la posizione di alcuni Paesi nel Sud del mondo. La Cina chiede che sia rispettata la sovranità dell’invasore e dell’invaso, ma questo non significa nulla perché per Putin la sovranità russa si estende fino al confine polacco. Critica anche le sanzioni occidentali e suggerisce che Putin ha ragione a sentirsi minacciato dalla Nato. Pechino chiede dialogo, ma un dialogo in queste condizioni è schierarsi con Mosca.
Un anno dopo è difficile trovare, tranne che in Russia, qualcuno che non denunci l’attacco all’integrità territoriale ucraina. Anche se persistono discorsi “anti-occidentali”. Putin avrebbe reagito all'”imperialismo morbido” e insensibile degli Stati Uniti e dell’Europa. A sinistra e a destra ci sono molti che difendono il “bisogno di puntualizzare”. Chomsky è un buon esempio. Il linguista assume il ragionamento russo e denuncia che “stiamo assistendo a un movimento espansivo della Nato verso est” che avrebbe trasformato l’Ucraina in “un partner di fatto”. Gli Stati Uniti si opporrebbero alla via diplomatica per indebolire la Russia. Chomsky e tutti coloro che insistono sulla via diplomatica devono indicare quali negoziati sono possibili. Sarebbe certamente la cosa più conveniente da fare, ma Putin in quest’anno è stato disposto a parlare solo con i suoi partner. La pace esige una via per la pace.
Chomsky e molti attori del “Sud globale”, situati nell’equidistanza tra le due parti, sono vittime di un vecchio sistema di pensiero in cui tutto ciò che fa l’Occidente è un’espressione della sua spinta imperialista. È un vecchio schema. Gli Stati Uniti hanno sbagliato molto nella loro politica estera negli ultimi decenni (Afghanistan e Iraq, per ragioni diverse, sono un buon esempio). Ma non si tratta di occidentalismo o anti-occidentalismo. In questo momento l’imperialismo è dalla parte russa. Putin è Pietro il Grande o Ivan III, uno zar che vuole conquistare nuove terre.
L’Ucraina non è caduta. Questo perché l’esercito russo non era quello che pensavamo, perché l’aiuto dell’Occidente è stato clamoroso, ma soprattutto per il fattore umano. Gli ucraini combattono perché sanno che se non fermano i soldati russi perderanno la loro libertà.
L’Ucraina non può perdere questa guerra. Sicuramente non può vincerla come la maggior parte degli ucraini sogna e dovranno essere fatte concessioni territoriali. Ma non si tratta di occidentalismo, si tratta di libertà.
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