La reazione più difficile dello Stato non è mai quella della fermezza a oltranza. Accettare che ci sia un cambiamento vero, sentito e irrevocabile in chi è stato nemico e portarlo dalla propria parte è il gesto più controintuitivo e doloroso che si possa immaginare. Finché sei nemico so con che armi combatterti. Ma saper accogliere chi cambia, presuppone un grado di cultura e di profonda lettura degli uomini che solo società più avanzate riescono a cogliere.
Comprendere che la vittoria non è nella pena infinita ma nella redenzione civile è stato un caposaldo costituzionale delle politiche di contrasto a fenomeni tremendi come il terrorismo e la mafia. Falcone e Borsellino ne vedevano sia l’aspettò pratico che la valenza morale e hanno sempre fatto attenzione a che un pentito fosse tale perché davvero intimamente motivato nella sua scelta. Che ne venissero benefici alle indagini o al reo, confesso e pentito, era aspetto rilevante ma non essenziale.
Ora la sorte di un uomo che di quei magistrati è stato nemico, che ha avuto una sua profonda parte in vicende drammatiche, ha premuto il grilletto contro uomini, simboli e testimoni della lotta per un Paese più giusto, come don Puglisi, torna libero. Gaspare Spatuzza è stato killer e burattino nelle mani di altri, ha avuto un’esistenza guidata da un “altrove” antitetico allo Stato, ha lottato per un’associazione eversiva e potente come la mafia ed oggi torna libero. La sua nuova vita affonda le radici in scelte coraggiose come quelle di Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino, uomini di Stato che nella lotta contro terrorismo e mafie hanno interpretato il massimo della reazione efficace, e perciò di vero pericolo per sé stessi, contro cui la violenza inaudita si è espressa come unico linguaggio per tacerli.
Le loro vite hanno sofferto di pregiudizi e di diffidenza proprio sul come condurre una lotta che appariva impari. Ma mai hanno rinunciato all’idea che quei fenomeni andassero combattuti disgregandoli anche moralmente, portando dalla loro parte anche chi appariva irrimediabilmente compromesso. Nessuna vendetta, infatti, è maggiore del vedere il nemico capitolare su suoi principi, sulle certezze, vederlo perdersi di fronte alle scelta di uno o più individui che abbracciano altre strade e contemporaneamente minano i ponti che legano in patti scellerati tra uomini che hanno come unico collante una inumana visione dell’esistenza fatta di un potere il cui unico obiettivo è sopraffare gli altri.
In questi giorni che Spatuzza riassapora da uomo libero c’è la traccia profonda di chi in questo esito vedeva l’inizio della fine di quei fenomeni. L’abbandono individuale prima, collettivo poi, di scelte fatte di violenza, di conflitto, di irrimediabile perdita del senso di sé come parti di una macchina violenta e la capacità di riacquistare con dignità la propria via di essere uomini.
Certo è presto per dire che siano arrivati i tempi in cui le stragi di mafia possano diventare storia chiusa. Non lo è ancora per la stagione del terrorismo, che molti momenti ha ancora poco chiari, non può esserlo per le stragi di Capaci e via D’Amelio, per i Georgofili, per don Puglisi. Troppo di quelle vicende è sepolto con Riina e Provenzano, troppo è nelle mani di Mattia Messina Denaro per pensare che sia tutto scritto e che nulla possa essere aggiunto. Le carceri ospitano al 41bis irriducibili testimoni di un’esistenza in vita della mafia, che esiste proprio perché ne esistono, come prova, i detenuti tanto pericolosi al punto da costringere lo Stato ad agire ai bordi della sua Costituzione.
In quel deserto di coscienza che è il carcere durissimo nessuno di quelli ha ancora il coraggio di chiudere le porte al male che rappresentano. Certi di avere – fuori – interessi e valori più preziosi delle libertà che stanno perdendo. Ed è questa la vera battaglia che impone ancora forza e solidità nella lotta; la battaglia per avere acquisite al vivere civile le vite dedicate invece alla sovversione ed alla violenza. Tenendo alta la pressione, cercando di svelare ogni angolo in cui si cela il peggio della storia e con la luce della verità illuminare un percorso nuovo per chi cammina nelle terre oggi ancora soggette al giogo culturale, economico e politico delle mafie.
La nuova vita libera di Spatuzza può diventare la prova che questo sia fattibile. Che esiste una possibile uscita dal gorgo di illegalità e violenza a cui lo Stato reagisce con le dovute contromisure. Offrire in alternativa o pene severissime e repressione o uscita definitiva e leale da quel percorso resta l’unica tortuosa via che si può seguire per dare una speranza al Paese.
Troppi eroi hanno sacrificato se stessi, troppi lustri sono passati senza che lo Stato piazzasse il suo colpo definitivo, tante vite sono sepolte dalla terra o nelle carceri per tenere fede ad un patto scellerato, ad una promessa di potere e ricchezza che è l’unica immonda reliquia che funge da premio per chi oggi ancora alla mafia affida se stesso.
Ed in questo percorso che vanno scovati i veri pentiti per distinguerli da quelli di comodo e manovrati, come lo stesso Spatuzza fu, per offrire sempre una redenzione possibile. Riabilitare la propria esistenza con una vera soggezione alla verità ed allo Stato è e deve rimanere una via praticabile. Solo così potrà diventare passato remoto ciò che fu della guerra alla mafia, e si potrà trattare come storia e non come cronaca tardiva ciò che accadde in quegli anni.
Su questo la politica può offrire un contributo se accetta di essere, almeno in questo, unita. Da troppo si attende la nomina della nuova Commissione parlamentare antimafia, rinviata per le vicende legate al caso Cospito, alle dichiarazioni inopportune di esponenti del Governo, alla strumentalizzazione delle polemiche sul 41bis. Serve che anche dalle aule degli eletti arrivi un segnale forte e unanime, dando visibilità e capacità di azione a a e l’ha combattuta, ed ora siede in Parlamento affinché possa fungere da enzima ed agevolare al più presto, con le dovute azioni, la disgregazione di quel fenomeno perverso consegnando i nomi degli eroi in questa guerra alla Storia e non più alla cronaca.
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